La nuova luce dei Campi Flegrei con la lente di Luciano D'Inverno   

"Non sono un artista: sono un fotografo." E' la nenia che suole ripetere Luciano D'Inverno quando gli si rimarca l'indomita vena poetica con cui continua a rappresentare i luoghi che circondano Napoli, prima con la serie "Vesevo" e ora con il bellissimo "Campi Flegrei: qui i piedi non si posano per terra", volume che raccoglie sue fotografie dell'altra area vulcanica, per i tipi di IntraMoenia Edizioni, e che sarà presentato il 15 giugno alle 18 al Pan - Palazzo delle Arti di Napoli, al Palazzo Roccella in Via dei Mille 60 a Napoli.
L'approccio metodico e fortuito con cui D'Inverno annuncia il paesaggio che attende chi si lasci attrarre dalle magiche meraviglie dei Campi Flegrei, spinge il turista, come il semplice viandante, ad abbandonare progressivamente la didascalia mitologica con cui spesso ci è presentata l'area. Permettendo di coglierne la magia effettiva della realtà dettata dal particolare, dall'icona che D'Inverno riesce a sovrapporre, ad intersecare con il paesaggio atteso, l'orizzonte di mare, la sabbia, le rovine di templi. Rendendo leggero ogni dettaglio, frequentemente di cancelli, di cementi, di detriti, di modernità perfettamente miscelata dai chiaroscuri e dalle ombre con cui gioca abilmente il fotografo. Con luci, curve e soggetti che esplodono crudemente nel paesaggio, che ne fanno paesaggio angoli e visuali dei Campi Flegrei come solo i grandi maestri della fotografia napoletana hanno saputo fare e rappresentare negli ultimi decenni. Dal lavoro di Luciano D'Inverno, abilmente raccolto dall'interessante e curato progetto grafico di Roberto De Iudicibus, rimane forte il senso di vita espresso dai ritratti struggenti con cui stilizza i tipi umani appartenenti alla "social catena" a cui si rifà Giacomo Leopardi quando descrive gli stupori e gli orrori che appartengono alla terra lavica, fumante, dei Campi Flegrei. Lasciandoci dubbiosi se la leggerezza dei piedi che non si posano sia dettata dalla sospensione quasi esoterica con cui D'Inverno pone una bambina su un pontile, in una delle meravigliose foto del libro, o se invece non sia il calore del terreno, il magma sottostante, il pericolo incombente a creare uno stato di continua fuga, in cui sembriamo tutti immersi. In una dinamica che traspare fortemente dalle istantanee in bianco e nero, attraverso cui si coglie sensibilmente l'incompiutezza, la sofferenza che attanaglia ogni artista, non ce ne vorrà l'autore se usiamo questo epiteto, che rende ogni immagine come singolo fotogramma di un insieme quasi cinematografico che ciascuno può intuire, fino a desiderarne la visione d'insieme, possibile solo recandosi di nuovo in quei luoghi alla ricerca del punto d'osservazione, forse privilegiato, con cui D'Inverno ci offre i Campi Flegrei. Aprendo una sfida a coloro che ci si recheranno innocentemente per godere di una riva o di una sauna sulfurea, spesso inconsapevoli della magia che ha preservato, come simbolo su tutti, lo stesso vitigno di oltre duemila anni fa.