Ansia da privacy   

Ancora una volta è stato rinviata a fine anno la scadenza per cui la maggior parte delle aziende si dovrà adeguare al nuovo codice della privacy, che prevede per molte di queste la compilazione del Dps (Documento programmatico per la sicurezza) da allegare al bilancio di fine anno. Benché il codice intervenga favorendo alcune azioni comunque utili per la salvaguardia del patrimonio informativo aziendale, si può fare una riflessione sul concetto generale di privacy. Intanto distinguendo diverse aree in cui la riservatezza delle informazioni che ci riguardano può essere tutelata. L’area più sensibile è quella che riguarda le nostre scelte etiche, politiche, religiose e sessuali, in cui possiamo includere gran parte dei nostri comportamenti sociali. Una seconda area riguarda la nostra sanità psicofisica, che pure influenza le nostre modalità di vita. Infine, ma influenzate dalle precedenti aree, ci sono quelle zone in cui determiniamo le nostre scelte di acquisto. A queste informazioni vanno poi aggiunti dei dati misurabili, come la nostra età, la nostra lingua madre, la nostra residenza, le nostre dimensioni, i colori della pelle, degli occhi, dei capelli, eccetera. Questo coacervo di dati, di cui ci hanno insegnato a fare geloso tesoro, è comunque oggetto di continue analisi e statistiche finalizzate a determinare poi i comportamenti di chi, specialmente attraverso i mass media, cerca di influenzare le nostre scelte e abitudini, non solo per dimostrarci la bontà di un determinato acquisto ma anche nel darci modo di preferire un candidato in ogni elezione, dall’amministratore di condominio al presidente del consiglio, di valutare una nuova religione o una nuova modalità di cura del corpo e della psiche. In pratica se da un lato si tutelano le nostre scelte, dall’altro si cerca di analizzarle per migliorarci la vita. Una continua lotta tra marketing e privacy. Con un risultato, ed è questa la vera riflessione, che nel tempo potrà procurare non pochi danni. L’ipocrisia che pervade ogni atteggiamento non liberista, infatti, dovrebbe produrre una omologazione di proposte; per esempio si potrebbero produrre abiti tutti identici, poiché nessuna informazione sui gusti dovrebbe essere più disponibile. Oppure saremmo costretti ad autorizzare ciascun produttore di abbigliamento ad utilizzare la moltitudine di informazioni sulla nostra privacy, firmando migliaia di moduli, da conservare per ricordarsi il nome del responsabile della riservatezza a cui scrivere quando vogliamo verificare cosa hanno archiviato. Insomma, qualcosa non va come dovrebbe. E lo si può notare dalla omologazione di abbigliamento, leggermente disgustosa, che attanaglia i nostri ragazzi. Una soluzione possibile potrebbe arrivare da Internet: la proposta è quella di realizzare un sito unico in cui ciascuno, persona fisica o giuridica, fornisca spontaneamente quante più informazioni, strutturate, può sulla propria identità. Informazioni rese pubbliche una volta per tutte, facilitando le modifiche della produzione di beni e servizi e la loro proposta, poiché per ciascuno sarebbe facile individuare il proprio target e si potrebbe ricevere solo quelle offerte a cui si dichiara essere interessati. Lasciando che, finalmente, il telefono non squilli più per comunicarci una nuova offerta di telefonia, vino, olio o altro, se non perfettamente adatto alle esigenze comunicate nella privacy deliberatamente rinunciata attraverso i nostri dati resi spontaneamente pubblici.