Riciclo obbligato   

Presto, comprando un rasoio elettrico, un personal computer o un frigorifero, leggeremo accanto al prezzo un piccolo importo che ci farà presente quanto ci costerà il riciclo di quel determinato prodotto. Infatti, se vorremo evitare una delle solite sanzioni europee, l’Italia dovrà recepire entro la prossima estate le direttive europee Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, in inglese Weee, detta anche e-waste) che impone ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche di provvedere ai costi di riciclo dei prodotti al termine del loro ciclo di utilizzo. La direttiva prevede che questo costo sia ben indicato e separato dal prezzo dell’elettrodomestico, gettando le basi per una concorrenza di qualità che ci permetta di preferire un prodotto anche in base al maggior contenimento dei costi di riciclo, abbattibili in quei prodotti ad alto livello di riusabilità, come stabilito dalla certificazione Toc. I maggiori problemi legati alla direttiva sono quelli relativi alla logistica del riciclo, sulla quale i produttori stanno lavorando, specialmente quelli associati nell’Anie, insieme al Parlamento, attraverso numerose interessanti audizioni presso la Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, i cui atti sono disponibili in rete. Se si pensa agli 8 mila Comuni italiani e alle oltre 14 mila piazzole di ritiro, ci si rende conto di come non sia ritenuto economico dai produttori il ritiro, da questi punti, del materiale soggetto al riciclo obbligatorio. Le direttive Raee imputano infatti ai produttori il costo del riciclaggio anche per i beni prodotti prima della data del 13 agosto 2005, limite imposto per l’adeguamento normativo nei vari paesi della comunità, in particolare in occasione di vendita di prodotti che ne sostituiscano quelli obsoleti. Con un correttivo emanato in extremis, con la direttiva 2003/108/Ce, che impone tali obblighi solo per il mercato consumer, ribaltando sulle aziende e sulla pubblica amministrazione l’onere del riciclo dei propri rifiuti elettronici. E’ palese che da questo mondo si genererà una fetta di quella economia ambientalista che ha spinto, per esempio, molti produttori in Italia a costituire il sistema EcoR’It (Sistema consortile per la gestione dei rifiuti elettronici di nuclei domestici e professionali) nato su iniziativa del consorzio Ecoqual’It (Consorzio nazionale qualità, uso, smaltimento apparecchiature It), proprio in funzione delle direttive Raee. Sistema che, già nel nome, lascia fuori l’utenza non domestica, che potrebbe ritenere di organizzarsi in modo analogo per far fronte alle proprie necessità di sostenere il contributo al riciclaggio dei propri rifiuti elettronici. Se nulla sembra accadere a livello nazionale, sarebbe almeno auspicabile che i governi regionali più attenti supportino almeno l’organizzazione di un sistema per gli enti locali del proprio territorio. La cui logistica e funzionalità potrebbe essere offerta ai sistemi privati insistenti sulla stessa area, creando una economia di scala che potrebbe ridurre il peso, nei bilanci pubblici, degli obblighi da ottemperare su tonnellate di computer presenti nei magazzini degli enti.