Mani preziose   

Lo scandalo provocato dall’arresto di un oncologo dell’ospedale Cotugno di Napoli, accusato di aver permesso di anticipare la posizione nella lista d’attesa ad una paziente in cambio di denaro, non è una sorpresa. Tra le prime intenzioni dichiarate dal ministro per la salute, quelle del comunicato stampa del 30 aprile scorso, c’era proprio la decisione di richiedere ai Nas e al ministero di indagare sulle liste d’attesa. Cominciando dall’analizzare se vi fosse stato il rispetto degli accordi sottoscritti tra Stato e Regioni. A distanza di poche settimane, il 21 maggio scorso, il ministro annunciava che sono state avviate ben 42 indagini in altrettante città italiane, aggiungendo che da troppo tempo la sanità era stata gestita dal ministero per l’economia e che era giunta l’ora di cambiare. Tutto bene, quindi, se il ministro severo si trasforma in poliziotto e arresta il medico corrotto. Episodio certamente più evidente delle affermate proposizioni e utile a dimostrare che, stavolta, si fa sul serio. Peccato che il problema delle liste d’attesa non dipenda dalle corruzioni del momento, ma dalla fatiscenza del sistema gestionale dei servizi sanitari del paese, in cui le soluzioni tecniche di gestione e dei sistemi informativi sono lasciati, con una errata concezione dell’autonomia, in balia della capacità e fantasia di ciascuno. Iniziare colpendo una delle più preziose risorse regionali della Campania potrebbe essere un caso, ma non lo è. Sarebbe divertente se, sulla scia di questo arresto napoletano, i vari cittadini italiani, che hanno subito la vessazione del dazio da sorpasso, si costituissero parte civile comune denunciando ciascuno il proprio caso. Resteremmo senza chirurghi? La Campania sarà una delle regioni con un sistema integrato dei Centri Unici di Prenotazione (Cup), grazie anche agli sforzi del centro regionale di competenza per l’Ict che ha disegnato un modello comune nell’interscambio delle informazioni. Quale migliore vittima? Il vero problema delle liste d’attesa è insito proprio nell’assenza di soluzioni informatiche che garantiscano tecnicamente l’impossibilità del sorpasso, a parità di gravità della propria situazione. E la lentezza con cui vengono attuati questi processi non è certo responsabilità del personale medico, ma piuttosto di quel modo di gestire, tutto italiano, che rallenta processi di miglioramento organizzativo proprio per lasciare in piedi sacche di malaffare il più a lungo possibile. Sacche miste al potere, in modo così efficace da poter anche riuscire a costruire un capro espiatorio che distolga l’attenzione dal nocciolo del problema. Una delle cose certe è che adesso, con l’arresto e la sospensione, molti pazienti, in lunghissima attesa di salvezza, si vedranno privati di due tra le mani più preziose: in campo clinico, ovviamente. E tutti noi sappiamo che, comunque e per sempre, qualche privilegiato tra noi, per busta o per amicizia, continuerà ad esistere.