Pubblico risparmio e vizi privati   

Caro direttore, in un quaderno anni ‘30, foderina nera bordato di rosso, ho trovato dei ritagli di giornale sull’invasione nazista della Polonia. Da vecchio topo di emeroteca, non ho resistito al desiderio di leggerne il retro. Tra i pezzi smezzati e le parti di foto, ho trovato una interessante rubrica di annunci economici. Mi sono soffermato su uno di questi, che riferiva del desiderio di costituire una nuova società commerciale, invitando a rispondere se si fosse stati disposti a investire una quota del capitale. Oggi le norme della “sollecitazione al pubblico risparmio” vieterebbero una formula simile, essendo necessario essere garantiti da un mediatore affidabile, come una SIM o una Banca. Che però nulla possono quando accadono eventi che prendono il nome dell’azienda che li genera: Enron, Cirio, Parmalat. Roberto Nicastro, Amministratore Delegato di UniCredit Banca, ci comunica in un articolo, dal titolo “Le banche potevano non sapere?”, le giustificazioni e le posizioni del suo gruppo, diffuse tra coloro che i bond hanno collocato. Partendo dall’elenco dei controlli riservati alle Spa quotate, come giustificazione, delinea due strategie di risposta: una di affiancamento del risparmiatore nel rivalersi dall’azienda (Parmalat) e l’altra di maggior distacco, legato all’alto rischio/ricavo che il bond (Cirio) prometteva. Su altri tavoli si è aperta, intanto, una sanissima discussione sulla necessità di distinguere nettamente tra proprietà e gestione, essendo invalso l’azionariato diffuso in tutte le grandi compagnie. Da contraltare c’é però lo strapotere che viene dato ai “manager”, a discapito dei ”veri imprenditori”, come quelli rappresentati dalle storiche famiglie proprietarie. Definizioni a parte, il problema rimarrebbe nel vecchio dubbio di “chi controlla il controllore?”. A guardare rimane intanto chi ha comprato bond delle compagnie citate, in grande difficoltà non essendo né proprietari né imprenditori. Mentre ci si scervella su questi temi, il nostro PIL aumenta, forse, dell’1% all’anno e dalla Germania ci giungono notizie di inflazione in arrivo. Diventa necessario fare di nuovo sviluppo, impresa, riprendere a finanziare le iniziative. Ma il sistema creditizio è quello che è: ci si può al più indebitare tra fidi, prestiti e anticipazioni, ma di capitale di rischio non v’é ombra. Eppure sono moltissime le piccole iniziative, spesso in settori innovativi, che richiederebbero apporto di capitali di rischio per decollare. Quale banca sarà così geniale da trovare lo strumento per finanziarle attraverso una sana proprietà diffusa, analizzando finalmente progetti e business plan e non solo bilanci e garanzie reali?