Sulle spiagge libanesi   

Beirut è una di quelle scene che nel ricordo di molti rimane una città moderna distrutta dalla guerra, con le immagini televisive di uno scempio ancora non conosciuto da chi non aveva vissuto in prima persona la seconda mondiale diversa dall’agricolo Vietnam, che si intrecciava con uno dei primi significativi interventi italiani in una forza multinazionale di pace. Interessandosi del Libano si può scoprire la storia di un paese capace di attrarre il turismo internazionale, su cui andavano concentrandosi importanti investimenti internazionali. Oggi è uno dei paesi lontani, del medioriente, devastato dalla furia con cui pochi estremisti ben armati professano una distruzione dello stato di Israele. Come ha ribadito, anacronisticamente, Abdel-Majid Ammar, membro del Consiglio Centrale degli Hizbollah a Next, rubrica di Rainews24, andato in onda l’8 marzo 2005. Quel Libano in cui si potrebbe portare democrazia e libertà grazie alla discesa in piazza di tutte le componenti religiose del paese, ad eccezione degli sciti che pongono la guerra ad Israele come punto primario della loro politica. Questo mentre una risoluzione dell’Onu, la 1559, sta costringendo la Siria a ritirare le truppe che occupano da decenni il paese dei cedri. Risoluzione che impone però anche il disarmo degli Hezbollah, rappresentanti di una netta minoranza, come hanno dimostrato le coraggiose iniziative popolari scatenate dall’attentato terrorista che ha stroncato la vita dell’ex-premier e magnate Hariri. E’ interessante l’analisi del comandante Andrea Tani, pubblicata in “Pagine di Difesa” del 14 marzo scorso, secondo la quale alla Siria non conviene mantenere una posizione che provocherebbe la erogazione di sanzioni economiche internazionali, con effetti devastanti per la sua economia. Così come per gli Hezbollah rimane aperta la via del disarmo come strada per continuare a partecipare alla vita politica dl paese, via obbligata, insieme alla necessità di una piena collaborazione con la creazione di stabilità nel paese. Fattori che renderebbero più serena Israele, che dovrebbe poi occuparsi, insieme agli alleati, della questione iraniana. E’ l’Iran che determina la maggior parte di appoggi finanziari e strategici al terrorismo che minaccia oggi l’occidente, il regime che lo governa, nonostante ampie fasce di popolazione sappiano significativamente imporre il palese desiderio di una maggiore democrazia, pur nelle regole dell’Islam. Se si coglie una sorta di collaborazione dell’intelligence siriana di Assad con l’esigenze occidentali, dietro la facciata intransigente e militarista, si può affermare che si è vicini ad una risoluzione strutturale della questione mediorientale. Almeno ad un suo avvio, che passa però per la messa in sicurezza di Israele, anche dal terrorismo, e per il riconoscimento dei diritti civili e dei valori della democrazia. Sperando che mai si debba arrivare ad imporli manu-militari, provocando solo ulteriori lutti nelle famiglie dei paesi del mondo. Pericolo che corriamo di più ora che lentamente lasceremo anche noi l’Iraq, senza che si sia definita una sostituzione dei militari dell’alleanza con una indispensabile forza multinazionale, in cui l’Europa sappia esprimere una propria forte valenza unitaria.