Sistema Paese in difficoltà: è necessaria una svolta   

Tre dati attanagliano le speranze del Paese in questi giorni: crescita economica a zero; debito pubblico più 4 per cento; disoccupazione, centomila posti in meno. Purtroppo non si tratta solo della fotografia di un istante, ma del disegno tendenziale verso cui si protrae la nostra economia, l’intero sistema Paese.
Lontani dalla speranza degli anni ‘80 di contare quanto i paesi della troika Francia-Germania-Regno Unito, saremo presto incapaci di poter apportare qualunque strategia risolutiva, pronti ad udire quel crack tipico della trasformazione delle tensioni in catastrofe. Forse ormai auspicabile, se è vero che solo un cambiamento di stato conclusivo consente di intervenire in modo decisivo. Il timore è che tutte le forze partecipanti al gioco si stiano preparando all’attentato che spesso accompagna gli alleati degli Usa nella guerra in Iraq ogni volta che si prepara una competizione elettorale o un momento significativo di mutamento della politica interna, come avvenuto in Spagna o in Gran Bretagna, oltre ai meno pubblicizzati attentati in paesi “lontani”, non solo geograficamente.
Prestiamo attenzione a chi soffia sul fuoco del conflitto interreligioso, ricordiamo chi e con quali mosse si prepara a diventare la vittima sacrificale di gesti che, se compiuti, sarebbero contro una nazione, un popolo, e non contro questa o quella forza politica. Se avvenisse una tragedia pre-elettorale in Italia, il Paese non saprebbe reagire come il coeso popolo spagnolo, capace di intersecare orgoglio e amore della verità con i moderni strumenti di comunicazione individuale di massa. Ormai il popolo italiano appare ipnotizzato dal sistema televisivo, grigio e chino sotto i gioghi di ogni tempo che si lascia porre sul collo.
E le responsabilità sono di tutti, partendo anche da quel sindacalismo pronto a chiudere le trattative sempre mediando posizioni economiche e ormai incapace di individuare anche soluzioni sociali nella gestione del lavoro. Sarebbe utile partire proprio dal lavoro, dal Libro Bianco di Marco Biagi, e men che mai dalla legge che porta, ingiustamente, il suo nome. Perché è sul Lavoro che si fonda, non solo per dettato costituzionale, il nostro Paese.