I costi della politica e gli sprechi della Regione   

Il grande polverone che ha sollevato il documento approvato dalla Direzione dei Ds sull’attenzione agli sprechi nelle amministrazioni regionali deve far riflettere. Il silenzio di Antonio Bassolino fa da sano contraltare alle dichiarazioni rilasciate da Agazio Loiero e Piero Marrazzo, presidenti delle regioni Calabria e Lazio, direttamente additati nelle affermazioni di Fabio Mussi e Cesare Salvi. Esponenti, come noto, di correnti fortemente minoritarie all’interno dei Ds e che hanno fatto da semplice sponda ad attacchi che partivano dal centrodestra. Cioè da quelle stesse forze che, proprio nella tanto discreditata Regione Calabria, avevano creato lo scempio dei gruppi consiliari costituiti da un solo membro: solo per poter ottenere segreteria, auto e denaro destinato ai gruppi. Una indecorosa vergogna che proprio la nuova Giunta è riuscita a impedire nel nuovo consiglio regionale calabro. Certo rimane aperto, per ciascuna parte, il problema dei costi della politica: costi che tutti conoscono e riconoscono, ma che, per una delinquente ipocrisia, si fa finta di ignorare, contribuendo a mantenere quei meccanismi di corruzione e concussione contro i quali nel 1992 sembrava stessimo tutti giocando a combattere. Anche perché degli sprechi di cui si parla, non facendosi distrarre dai microfinanziamenti ad eventi inutili, contano quelli destinati ad accontentare le numerose persone necessarie agli apparati organizzativi ed elettorali dei partiti. Che possono essere solo alimentati dalla finanza pubblica e, peggio, da interessi privati non evidenti. Il vero punto da porre all’ordine del giorno dovrebbe essere la modifica della legge di finanziamento pubblico ai partiti, vera mancanza di liberismo in Italia, utile solo a chi preferisce tenere sotto scacco la politica e l’espressione democratica delle proprie istanze. Poiché, non potendo cancellare le lobby, sana espressione del coalizzarsi su obbiettivi comuni, sarebbe utile osservare il palese sistema anglosassone, che, tra l’altro, produce anche maggiori entrate per le organizzazioni politiche.