Per la guerra contro l'occidente   

Per la guerra contro l’occidente
commento di Giacomo Nardone al manifesto “Per l’Occidente” di Marcello Pera.

E’ esaltante come Marcello Pera possa muoversi nel tentativo maldestro di contribuire allo sfascio della pace internazionale, cavalcando in modo grave la xenofobia tipica del pensiero più retrivo e conservatore, prodromo di atteggiamenti di chiusura mentale e fautore solo di conflitti inarrestabili.

Se in America vi sono stati maccartismo e proibizionismo sull’alcool, simboli primi della minaccia alla democrazia, con il sito www.perloccidente.it Marcello Pera disegna fino in fondo un percorso odioso che ha come obbiettivo esclusivo la sudditanza al potere bushiano e vaticano, senza però attuare, non tanto il normale senso critico, ma il minimo esercizio dell’intelligenza.

Scaricando dal sito e leggendo l’ignobile documento “Per l’occidente”, il manifesto di un insulso moto pre-elettorale dei conservatoristi, ne troviamo di veramente belle.

E troviamo anche notevoli messaggi celati nelle parole, significativi in ogni minimo dettaglio di un tentativo populista di sovvertimento della democrazia.

Si parla di crisi dell’occidente incapace di “rispondere alla sfida” del “fondamentalismo e dal terrorismo islamico”. Notiamo subito come, intanto, il terrorismo di cui avere paura è solo quello islamico, affiancato al fondamentalismo, che, seppure criticabile, è cosa altra. Occupandosi subito, con buona pace di qualunque diplomazia, di lanciare, più che raccogliere, la sfida. Parola utilizzabile solo per aprire un duello, contro qualunque insegnamento gandhiano.

E, con tipico spirito penitenziale, per avvalorare i propri principi si usa il metodo della colpa-responsabilità, ammettendo che i relatori del documento si sentono colpevoli del proprio benessere, causa prima di un senso di colpa con cui taluni di loro giustificano il terrorismo. Cadendo nel primo grossolano errore, poiché è di tutta evidenza che il terrorismo internazionale trova i propri adepti proprio tra quelle popolazioni mantenute in povertà dall’occidente stesso. Le basi da cui parte l’aggressione terrorista è proprio la differenza che si è venuta a creare tra popolazione ricca e mondo povero, fucina di qualunque mercenario.

Così, questo povero occidente, è “minato dall’interno da una crisi spirituale e morale” : come se non fosse responsabilità prima, di questa crisi, la colpa del clericalesimo di essere distante dalla realtà di tutti i giorni, con sofferenza e malcontento proprio di tanti cattolici, tanti cristiani e tanti credenti. Il pesce, come sempre, puzza dalla testa e invece il manifesto sembra accusare “altri”, che non è semplice identificare, dello sfacelo morale in cui versano i potenti e i benestanti.

Per genuflettersi ben bene alla bandiera americana, quella dell’America repubblicana di Bush, il manifesto passa poi a mistificare la verità: accusando l’Europa di tutti quei difetti che vengono sempre auspicati da chi non gradisce una Europa unita e forte. Come nel caso degli Usa che, numeri alla mano, davanti alla grandezza europea divengono un lumicino in qualunque statistica. Commerciale, economica, militare e, soprattutto, di rispetto della democrazia.

Il vero nemico dell’Europa è determinabile facilmente da una semplice domanda: chi la teme?

Continuando, perseverando, con l’uso delle parole deformate, il manifesto ne conia una nuova da affiancare a laicismo: progressismo. Veramente blanda operazione linguistica per affermare i veterovalori della Tradizione. Cos’è per Pera la Tradizione, cosa sono i Costumi? Semplice conservatorismo, che cerca di truccarsi in ogni modo per non mostrare la sua vetusta carcassa. Ma l’evidenza degli obbiettivi è quella che determina il crollo di ogni argomentazione.

Punto per punto la maschera svela infatti dove si vuole andare a parare. I valori di “vita”, “persona” e “famiglia” vengono usati per affermare altri principi che seguono nella frase: non tutte le culture, secondo Pera, hanno lo stesso valore, la stessa dignità. Il trasferimento di popoli tra paesi, l’immigrazione, è una cosa che deve essere guidata e regolamentata con una finalità che diviene perversa, se posta in questi termini: l’integrazione, come inglobazione e annichilimento delle tradizioni e valori di provenienza. Proprio ciò che è accaduto agli italiani a New York, vero?

Non poteva mancare, a chiosa della minacciosa e guerrafondaia introduzione, la citazione, maldestra, di Ratzinger che afferma “L’occidente non ama più se stesso”. Per fortuna! Se l’occidente dovesse avvilupparsi su se stesso, come auspicato anche dallo strano simbolo a spirale utilizzato nella grafica del manifesto, diventerebbe chiara e giustificata l’aggressione da quell’altra parte che l’occidente stesso, cosi facendo, isola.

Per citare altri, viene facile pensare “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che non è certo l’affermazione narcisistica utilizzata invece da Ratzinger e riportata da Pera. D’altro canto questo ignobile manifesto solleva definitivamente una questione che deve essere risolta, per il bene di tutti, come evidenziano anche i rischi insiti in questa operazione-manifesto: superare il concetto stesso di “occidente” e “identità occidentale”. A occidente di cosa? Sud e Nord sono il vero tema, non più, e forse non mai, Est e Ovest.

Finalmente, a chiudere l’introduzione, Pera afferma il suo principale problema: deve impegnarsi di più per correggere gli errori e gli orrori che hanno creato, negli ultimi venti anni, quelli come lui, conservatori e bigotti.

Inizia poi l’apoteosi delle dichiarazioni dei punti del manifesto, un vero sfascio intellettuale fin dai primi punti.

L’Occidente: i firmatari del manifesto si impegnano a “riaffermare il valore della civiltà occidentale come fonte di princìpi universali e irrinunciabili”, proseguendo poi nell’affermare una omologazione piena tra Usa e Europa, che, oltre al denim italiano e a copie del chinotto, in comune hanno necessariamente gli stessi valori che possono avere tutti i popoli del mondo. Quindi Pera intende creare una comunanza occidentale, che esclude quindi l’Asia, l’Africa, il Sud America, finalizzando il tutto ad una omologazione inaccettabile, buona solo per far ribollire di rabbia gli altri popoli e farci apparire veramente supponenti e ignoranti, un po’ come gli statunitensi, appunto.

C’è una differenza tra l’essere contro gli Usa e omologhi agli Usa. Gli Stati Uniti di America sono una grande, ma giovane, democrazia, interessante esperimento di integrazione culturale e continua lotta tra poveri e ricchi, prigionieri e liberi, potenti e impotenti. Non certo origine di valori “universali e irrinunciabili”, che non esistono, non possono esistere in nessuna comunità umana pensante.

I valori di Pera sono la negazione degli altri, un fondamentalismo che annulla la cultura e la storia dei popoli dell’India, della Cina, dei nativi d’America, dei nativi d’Austrialia, di tanti popoli in tutti i continenti, in una pandemia intellettuale che si scontra con la dura realtà dell’evidenza storica ed etnica di un mondo, per fortuna, pedagogicamente variegato.

Ovviamente con il solo scopo di puntare i piedi contro l’Islam, una innegabile ed ampia realtà religiosa che abbraccia moltitudini in paesi diversi, senza che questa religione abbia prevaricato gli usi, i costumi e le storie locali dei paesi in cui viene praticata. Ma per l’occidente il manifesto sacrifica anche la storia e la cultura, disegnando i prodromi di una sopraffazione desiderata e annunciata, che trasforma così questi supposti valori in evidenti disvalori.

L’Europa: poco da dire su questo punto, se fosse estrapolato dal contesto in cui si pone. Un blando tentativo di mascherarsi, di travestirsi, avvolgendosi in una bandiera europea dei “padri fondatori” di cui ben poco si conoscono i valori e le finalità, se inseriti in questo manifesto, demagogicamente usati per cercare di farsi portatori del verbo di una “vera identità”, usata per cercare di colpire i sentimenti con “la forza di parlare al cuore” quando l’Europa è essenzialmente un parlare tra cervelli, una costruzione che richiede impegno morale, intellettuale e progressista, men che mai sentimentale. Come dimostrano i “sentimenti” che portarono alla seconda guerra mondiale, primi tra tutti il tentativo di imporre razze e culture a tutti, come prova l’antisemitismo associato alle gravi azioni contro altre comunità, come lo sterminio dimenticato dei nomadi e la strage di persone disagiate da mali fisici.

La sicurezza: grande l’eufemismo di questo paragrafetto che, con il metodo di sempre, apre con valori demagogicamente e populisticamene condivisibili, compiendo però una atrocità intellettuale. Come si può, qualcuno ci spieghi, condannare “ogni predicatore di odio” (senti chi parla!) e far seguire la frase con quella alla piena solidarietà a eserciti armati? Se è vero che l’Italia rifiuta la guerra nella sua costituzione, come parlare di forze armate in questo modo? La stima e la fiducia di ogni italiano nei propri soldati e nelle forze dell’ordine è nota e pienamente condivisa: ma da qui a utilizzarli all’interno di un manifesto che afferma principi di diversità tra fronti è pericoloso e strumentale. Non si può non essere contro il terrorismo, che ha la lacuna di essere un attacco portato spesso contro civili inermi e senza il coraggio di una divisa. Ma nessuno deve strumentalizzarlo, come fa molto comdo agli occidentalisti alla Pera, per far vedere i muscoli a chi la pensa diversamente da noi.

L’integrazione: Qui la follia lessicale si sposa con la carenza intellettuale. Si afferma che l’integrazione si debba attuare “senza più accettare che il diritto delle comunità prevalga su quello degli individui che le compongono”!!! Cioè, rileggendo bene, non sono accettabili i diritti degli individui che compongono una comunità! Un incredibile e pericoloso avvitamento su se stessi, sempre premesso, strumentalmente, da un punto condivisibile quale quello dei valori della Costituzione. A cui però ci si dovrebbe attenere in modo immodificabile, nonostante possano venire in evidenza nuovi diritti espressi proprio dalla comunità di cui si fa parte. Tant’è, a controprova, che la Costituzione prevede in se la propria emendabilità. Una eresia, quella del manifesto, che nasconde la difficoltà di esprimere fino in fondo i sentimenti xenofobi qui dichiarati, in cui “integrazione” non significa fusione, condivisione, inquinamento culturale reciproco, ma sottomissione anche bruta ai principi e valori preesistenti, che vanno condivisi pena l’esclusione-espulsione. I tanto declamati Stati Uniti d’America non esisterebbero, se fossero valsi, in quella nazione, i concetti di integrazione espressi da Marcello Pera.

La vita: Ricordando a Pera che per quasi tutte le religioni è definito un periodo che oscilla tra i quaranta e i sessanta giorni dal momento del concepimento alla raggiunta identificazione del concetto di “vita”, questo punto riporta indietro le lancette dell’orologio a quando, in nome del proibizionismo teso a condannare le donne ad abortire senza ausilio medico e sanitario, era anche proibito dal clero cattolico praticare, parliamo solo di una cinquantina di anni fa, anche le operazioni chirurgiche. Il giochetto è sempre lo stesso, partire da un concetto condivisibile universalmente, la vita, ed usarlo ai propri fini, imporre un inevitabile senso di colpa per atti a volte inevitabili, come l’aborto terapeutico, e soprattutto per frenare la ricerca scientifica che, da secoli, la Chiesa Cattolica vede come limitazione del proprio potere. Un po’ come i maghi e i ciarlatani da baraccone potevano temere i medici.

La sussidiarietà: Questa orribile parola, poco condivisa dalle masse, è da sempre sfruttata dai clericalismi per confondere le idee, una cosa positiva trasformata a vantaggio dei propri egoismi. In questo punto si auspica la permanenza del sussidio, cioè dell’aiuto, dello Stato nelle cose private. Se la sussidiarietà servisse per aiutare i deboli a divenire forti come chi la presta, ne saremmo tutti felici e ne condivideremmo l’esercizio. Ma qui non è la politica, cioè il democratico confronto, a rendere più forte la collettività, espressa dall’elenco “individui, famiglie, associazioni, compagnie, volontariato”, è “il potere politico”! Definito come “corpo intermedio” tra la persona e cosa? Ma tra la persona e Dio, ovviamente. Utilizzando così la sussidiarietà per esprimere nuovamente il concetto di uno Stato che perde la veste laica al fine di affermare “il primato cristiano”, insieme a qullo usurpato, perché di moda, del primato liberale. Mi pare che si stia parlando di primati in senso più zoologico che politico. Il principio “tanta libertà quanta è possibile, tanto Stato quanto è necessario”, che apre il punto sperando di fare adepti, è molto meglio se trasformato in “tanta Libertà quanto si deve, meno Stato quanto possibile, senza Chiese nelle istituzioni”.

La Famiglia: Il valore di società naturale della famiglia, ovviamente condiviso, viene stravolto facendolo “fondare sul matrimonio”, solo per la finalità di non dichiarare famiglie le altre unioni o legami. Bella la necessità del manifesto di aggiungere “legami” a “unioni”, imposta dal conservatorismo e dal cattolicismo ricercati nell’elenco supino dei punti espressi. Si riporta così la condanna non solo delle coppie di fatto, che, se di fatto sono, ogni sforzo per negarlo diviene superfluo, ma anche dei figli nati da legami non matrimoniali, negando quindi anche il legame stesso tra genitori e figli, se fuori dall’istituto vetusto del matrimonio. Ponendo di fronte a noi anche un altro arcano: da cosa si dovrebbe proteggere la famiglia? E poi, quando la figlia naturale, di soli sette anni, della mia compagna, divorziata, ci abbraccia sorridente e felice dicendo “Siamo una famiglia!”, cosa le dovrei dire? Che per i cattolicisti clericali non siamo niente? Che è meglio che non creda nella fede cristiana che già l’avvolge? Anche qui, pur di difendere il potere sacramentale clericale di definire o meno un matrimonio come tale, si usa il concetto intimo e naturale della famiglia per i propri fini. Anche a costo di negare eguali diritti a cittadini con principi etici e morali diversi: bell’esempio di tutela e carità.

La libertà: Sempre apparentemente condivisibile anche questo punto. Peccato che si parli di una libertà e una democrazia, senza tenere conto di quanto affermato, per esempio, nel libro “La democrazia degli altri” di Amartya Sen, che spiega bene come non esista necessariamente un unico modello. Parlare di libertà e democrazia insieme serve a Marcello Pera per far assorbire il concetto, falso, che il nostro modello di democrazia sia l’unico capace di garantire la libertà. Peccato che conti, più della democrazia occidentale, l’autodeterminazione dei popoli e le loro scelte, quando libere. Al momento l’esperienza della “esportazione della democrazia”, spesso manu militari, ha portato iatture come l’avvento dei terroristi di Hammas in Palestina, dei fondamentalismi omicida in Algeria, e alla continua mattanza in Iraq. Il riferimento conclusivo, generalista e populista, che la schiavitù di molti sia una ingiustizia, diviene ridicolo quando contrapposto alla libertà di pochi: come se questo non avvenisse quotidianamente, in occidente come in oriente, a danno di persone che hanno la sola “colpa” di avere reddito e strumenti culturali infimi, grazie proprio ai sistemi in cui vivono. La democrazia non è un virus, da diffondere in modo pandemico, è di per se una scelta di libertà e così andrebbe richiesta, proposta, mai imposta.

La Religione: Due sole righe per l’argomento portante, la chiave di volta del manifesto. Ma come? Perché? Proprio nel tentativo di non dare spazio alla critica, che invece è inevitabile, a questo elenco di eretiche e perniciose baggianate. Il trucco è stavolta quello di dare come titolo “religione” e all’interno parlare solo di “Chiesa”, cioè: l’unica religione è quella cattolica. Bell’esempio di democrazia, specie quando poi si usa il metodo dell’affermare negando, se simulando l’approvazione del concetto laico di distinzione tra Stato e Chiesa, si nega il diritto della religione di appartenere alla sfera privata degli individui e delle collettività religiose nel loro interno. Perché il timore espresso è sempre quello della perdita di potere della Chiesa, che necessita della pietra di paragone dello Stato per affermare la propria esistenza come istituzione, ma che non può non essere anche cosa pubblica, e non privata, in modo da poter ingerire ed interferire proprio nella sfera delle cose di Cesare.

L’educazione: Verso la fine del documento ci si sbraca un po’. E invece di affermare principi e idee, come quelli del valore stesso dell’educazione e della cultura come beni supremi e indispensabili allo sviluppo del senso critico di ciascun cittadino, qui ci occupa solo della “roba”. Avvolgendosi e scivolando sulla contrapposizione in termini tra il concetto liberale di una scuola privata, non statale, quindi basata sul capitale di rischio e sul profitto, come qualunque impresa, confrontata con la necessità, tutta cattolicista, di applicare il succitato principio di sussidiarietà, con uno Stato che interviene a sostegno di una scuola privata, in Italia per lo più in mano alla Chiesa. E’ ovviamente difficile affermare, per esempio, “Vogliamo che i cittadini, cattolici e non, paghino, con le tasse, la scuola controllata dalla Chiesa, senza erodere i fondi dell’8 per mille.” Più sincero e meno demagogico del punticello del manifesto-programma.

L’Italia: E infine, che c’entra questo punto nel manifesto-programma degli impegni dei conservatorismi per la difesa dell’Occidente? Semplice, più che “Per l’occidente” questo proclama si poteva chiamare “per le prossime elezioni”. Infatti per il nostro paese, che sembrava collocato in Europa, di cui si auspicherebbe un valore sopranazionale, ciò che conta sembra essere l’autorevolezza, con etimo autorità, ancora quindi l’esercizio del potere. Da far funzionare nel conservatorismo liberale, area in cui Pera si colloca meno brillantemente di tanti suoi predecessori e colleghi. Nulla si dice, parlando del nostro Paese, rispetto alla necessità di farlo crescere, sviluppare, migliorare, per renderlo migliore ai propri cittadini, a chi ci vive, e non come pura apparenza da sventolare davanti agli occhi della comunità internazionale. Anche perché Pera sembra usare queste benedette radici, più volte citate come giudaico cristiane, come fuscello fustigatore delle libertà. Che ama distinguere ereticamente tra libertà pubbliche e private, lasciandoci presagire, quale uomo istituzionale, di quali libertà pubbliche vada cianciando.

Il taze bao elettronico di Pera si chiude con la triplice affermazione cercatrice di applausi: “L'Occidente è vita. L'Occidente è civiltà. L'Occidente è libertà.” Peccato che il concetto stesso di “Occidente” vada superato, l’occidente non esiste, se non nella militare alleanza atlantica, superata ormai dalla storia e dai fatti, come ci insegnano paesi come la Francia, che tanta paura incute ai fascismi di ogni dove, che tanto timore impone a quella parte di Chiesa Cattolica che opprime le libertà di sentire, di fede e di pensiero, come già accadde contro la teologia della liberazione in Sudamerica, pochi anni or sono, e come peggio fu durante le malefatte dell’inquisizione.

Quello che ciascuno, nel profondo del cuore e nello spazio del cervello, si deve chiedere è: Cui prodest? A chi avvantaggia una continua tenzone contro l’Islam? Quando ci occuperemo dei problemi delle dittature di popoli oppressi da fame, miseria, ignoranza, come avviene in larga parte dei paesi in cui l’Islam è religione dominante? Perché, invece di simulare tanta acredine, non ci si domanda quanto business si fa con i paesi produttori di petrolio, quanto denaro si lascia nelle tasche dei pochissimi dinasti che governano? E perché l’Iraq, come presto l’Iran, sono attaccati quando scelgono l’Euro come moneta di scambio, invece del dollaro?

La tristezza rimane nel sapere che queste righe di commento, come quelle di Pera, sono un inutile parlarsi addosso, riservato ai pochissimi che si occupano di potere e politica nel decantato occidente, di cui non posso non rimpiangere i partiti e i sindacati di massa, carenti spesso di democrazia interna, ma fautori, seppur con lentezza, di grandi prese di coscienza, unica via per operare quei cambiamenti democratici necessari a reprimere ogni velleità autoritaria, che attraverso crisi sanitarie, militari ed economiche, stanno invece per presentarsi al nostro uscio.

Napoli, 28 Febbraio 2006

Giacomo Nardone
www.ilrelativista.it

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