La vendetta di Rutelli   

E’ giunto il giorno in cui il chierichetto Francesco Rutelli, finalmente consapevole dei propri limiti, tenta di agire la propria vendetta verso chi ne ha fatto l’agnello sacrificale alle precedenti elezioni politiche. Pur nelle difficoltà di allora di un governo mutato in stile prima repubblica, nell’alternanza D’Alema Prodi, fu veramente sorprendente quando a Silvio Berlusconi e al suo potere mediatico fu opposto il giovane Rutelli. Le previsioni macroeconomiche che derivavano dalla bomba ad orologeria innescata con il passaggio all’euro, insieme ai doni della ultima finanziaria del centrosinistra di cui Tremonti si rese conto troppo in ritardo, erano tali da lasciar prevedere che il futuro premier avrebbe trovato davanti a se un percorso in salita. La coalizione di centrosinistra sapeva di poter cavalcare le deviazioni politiche che le procure avevano generato nel ’92 per rendere impossibile la vita al proprietario di Mediaset, azienda che vide il maggior numero di accertamenti nella storia dell’imprenditoria, inserendolo nel clima mondiale di crisi economica. Crisi che si è manifestata in pieno proprio nel primo semestre del 2001, crisi che forse determina le decisioni che spingono ad incenerire uffici e carte dei piani alti delle twin towers. Ora che si materializza l’ipotesi di un cambio della guardia, con le prossime politiche, ora che il grande centro incomincia a ricompattarsi a favore di potentati storici, ora che si delinea il tripartitismo in cui l’Italia deve necessariamente comporsi, Francesco Rutelli decide di tirare la stoccata. Leader del nulla, tecnico formato nei ben informati ambienti radicali, genuflesso nel tentativo illusorio di porsi valido interlocutore delle istanze della Conferenza Episcopale, il romano Rutelli comprende che i templari lo stanno per relegare al ruolo figurativo in cui è stato parcheggiato finora, come lo sarà in futuro. E sfida il leader designato da equilibri tecnocratici e finanziari da tempo, il suo coinquilino Romano Prodi, capace di abbagliarci con la propria potenza fino a rendere invisibile la lucciola sacrificale. La trappola in cui cade Rutelli è perfetta: il dubbio di poter non partecipare unitariamente nelle candidature relegate dallo scempio della residua quota proporzionale gli deve essere stato suggerito da amici fidati. Dimentico che quel residuo nasce da pastrocchie, non coeve ai primi momenti di riforma maggioritaria sostenuta dalle masse clamanti nelle piazze intorno al referendario Mariotto Segni. La fine di Rutelli sembra decisa in quei tavoli dove le strategie più fini avevano già strutturato gli avvenimenti di un ventennio, 1985-2005, in cui il comunismo veniva prima abbattuto e poi superato. Lo stesso disegno che porterà il petrolio ad 80 dollari il barile e al disfacimento della costituzione europea, ad allargamento avvenuto. Poca cosa l’isteria rutelliana che fa eco solo alle balbuzie di chi nomina i localismi da lista, dopo aver cestinato le macroregioni di Urbani. Mentre l’Europa si accinge a perdere la terza guerra mondiale.