L’Europa lascia sola Israele: bisogna intervenire per la pace   

L’Europa rischia di cancellare definitivamente il suo ruolo sulla scena internazionale se non passa ad azioni diplomatiche concrete a supporto della politica diplomatica di Israele, ormai delineata da anni di concessioni unilaterali nei confronti dei palestinesi. La conferenza congiunta di Angela Merkel e Ehud Olmert di oltre dieci giorni fa segna un passo importante nell’agenda delle prossime settimane. In quella conferenza Olmert ha detto: “Invito a un incontro tutti i capi degli stati arabi, compreso naturalmente il re dell’Arabia Saudita, che considero un leader molto importante, per intrattenere colloqui con noi. Non intendo dettare loro cosa dovrebbero dire, ma sono certo che capiranno che anche noi abbiamo qualcosa di dire”. Lasciando intendere che accetterebbe la possibilità di una conferenza con la formula “4 più 4 più 2”, cioè del quartetto composto da Stati Uniti, Unione europea, Onu e Russia, insieme a Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, che costituirebbero un quartetto arabo, con Israele e Autorità palestinese. Senza ignorare che a un simile tavolo sarebbe presente anche il leader dei terroristi di Hamas, il primo ministro Ismail Haniyeh. Se Israele verrà lasciata sola, o se si lascerà sola la Germania a sostegno della nuova prospettiva di pace, non vi sarà alcuna possibilità di creare la pace nell’area, segnata dal possibile fuggi-fuggi americano dall’Iraq entro meno di un anno e a una escalation nucleare dell’Iran. Fatti incontrovertibili che spingerebbero le istanze palestinesi, ineterne ed esterne ad Israele, a trasformarsi in un nuovo massiccio attacco terroristico alla terra del popolo eletto. Attacco che sembra inevitabile come è accaduto ogni volta che Israele ha avviato seri negoziati, come quelli traditi da Arafat ad Oslo come a Camp David, e come sempre accaduto da quando concessioni unilaterali non hanno impedito follie suicide di terroristi inspiegabilmente accesi da ogni riduzione del territorio Israeliano. Finché Israele verrà lasciata da sola a curare il proprio senso di colpa che le deriva dalle invasioni del 1967, non ci sarà pace. E non ci sarà finché la memoria non ci supporterà nel mantenere vivo il fil rouge che parte dalle concrete basi ideologiche sioniste, passando per il rientro in possesso dei territori di Israele, per le guerre e le aggressioni subite dai paesi confinanti, per il cambio della guardia nel supporto prima dell’Unione Sovietica e poi degli Stati Uniti, che portò la sinistra italiana al voltagabbana a favore del terrorismo palestinese. Passando ancora per il 2000 con Camp David, la successiva Road map stimolata dal riconoscimento dello stato palestinese “de facto” nel 2003, l’abbandono unilaterale della striscia di Gaza. Fatti concreti che sottolineano quale sia la realtà verso cui aspira Israele, il cui generoso unilateralismo nelle concessioni rischia di vanificarsi senza un serio supporto internazionale, primo tra tutti da parte dell’Europa, che potrebbe riscattare parte delle sue responsabilità, prima tra tutte quella dell’ignavia.