La questione industriale   

Caro direttore, pare si stia combattendo una lotta impari in Italia, in cui il Mezzogiorno è quello che ne pagherà le più amare conseguenze. Da un lato le indicazioni fornite all’Ecofin dal presidente Berlusconi, che ricalcano pedissequamente i tagli annunciati dall’ex superministro Tremonti, presagio di un Dpef con effetti a dir poco devastanti per il Sud, le sue imprese e la possibilità di attrarre e sollecitare investimenti, posizione che nel governo sembrava ormai confinata nei desiderata leghisti, ed invece progettate in barba alle indicazioni di AN e dei moderati della Cdl. Dall’altra il chiaro segnale di Confindustria e Unioncamere che pongono il Mezzogiorno come una delle questioni dirimenti l’intero sviluppo nazionale. Viene da domandarsi cosa stia effettivamente accadendo, quali siano le reali poste in gioco. Osservando da un angolo diverso gli accadimenti salta subito agli occhi il problema di una internazionalizzazione non realizzata, anche per la determinazione di insistere sul “made in italy” quando ormai consumiamo tutti il “made in everywhere”, unito alla vicinanza della scadenza europea del 2006. Le liti tra il governo e l’opposizione, nazionale e locale, sono l’esatto opposto di quello che avremmo sperato accadesse con il bipolarismo ed il maggioritario. Negli scontri furenti si nota la mancanza dell’antica capacità di compromesso, risolutrice spesso di problemi comuni. Mancano anche nelle istituzioni di rappresentanza uomini capaci di dialogare da pari con la sinistra e la destra, vincolati dagli obbiettivi programmatici piuttosto che dal servilismo ai potenti. E’ il basso livello culturale raggiunto dalla politica, con l’assenza di personaggi di rilievo, capaci di confrontarsi con le ricerche di equilibrio di Moro, con il Craxi portatore dell’Italia come marchio nel mondo, con le valenze culturali espresse da Spadolini, con la tutela e la crescita della coscienza civile e popolare proprie di Berlinguer. Nessuno sembra comprendere che la vera questione italiana è la questione industriale; non più solo meridionale. Dobbiamo diventare Sistema, creando infrastrutture a Sud, potenziando velocemente le tratte di collegamento ancor prima di spendere per ponti miracolosi. Dobbiamo annullare il gap occupazionale per eliminare con forza la presenza di tutte le mafie. Dobbiamo garantire aree, sicurezza, credito, servizi e logistica alle aziende perché investano nelle nostre zone. Abbiamo bisogno che il Nord comprenda che la sua sopravvivenza dipende da quanto sarà capace di invaderci, di trasformare il Sud in un grande laboratorio di ricerca, di creare un’unica rete. E solo con adeguate misure di sostegno, oggi vanificate, potremo cavarcela tutti, indipendentemente dall’accento che usiamo nel parlare.