Legittima difesa sociale: un eufemismo pericoloso   

Tripoli ha dato un nuovo segno di attenzione alle procedure democratiche, accettando il ricorso presentato da un medico libanese e sei infermiere bulgare condannati a morte nel 2004 per essere stati riconosciuti colpevoli di avere infettato 416 bambini libici con il virus dell’Aids. Dalla condanna in poi numerose nazioni del mondo avevano chiesto di valutare con maggiore attenzione la situazione, anche per impedire un’ennesima carneficina basata sullo scempio della condanna a morte. Scempio che ha macchiato nuovamente le coscienze americane con l’ultima esecuzione avvenuta in California. Quello che lascia perplessi è il differente peso che dà il Vaticano alle vicende umane legate alla vita: se in Italia ha speso denari e risorse per impedire la modifica referendaria della legge 40 sulla procreazione assistita, limitandola e limitando quindi l’aspettativa di vita, non applica la stessa energia per combattere la pena di morte nel mondo. Perché? Perché non si leva forte la voce vaticana contro gli Stati Uniti, la Cina, e gli altri stati in cui ci si comporta da retrogradi? La spiegazione è nel compendio del catechismo della Chiesa Cattolica. Che al paragrafo 467, relativo al quinto comandamento “Non Uccidere”, spiega che “la legittima difesa della società non va contro tale norma”, essendo tale difesa anche un “grave dovere”. Tale chiarimento si associa a quello che spiega che una pena occorre per “riparare il disordine introdotto dalla colpa”. L’esatto opposto di quanto chiarì Giovanni Paolo II nella enciclica del 1995 “Evangelium vitae”. Ma il pensiero cattolico è ancora più chiaro, in materia di rispetto della vita, quando precisa, al par. 483, che la guerra è “moralmente giustificata” se si hanno: “certezza di un durevole e grave danno, inefficacia di ogni alternativa pacifica, fondate possibilità di successo, assenza di mali peggiori”. Il tutto affidato al “prudente giudizio” dei governanti. Insomma, in queste parole è possibile trovare più spazio agli ipocriti distinguo che alla ferma condanna di chiunque spenga una vita umana.