Ricerca made in Italy   

Caro direttore, negli anni Settanta qualunque bambino di allora rimaneva affascinato dalla strana scritta “Made in Hong Kong” che puntualmente campeggiava su molti giocattoli di basso costo, diffusi in una epoca di crisi in divenire. E’ di ieri la notizia dell’intensa attività del presidente di Confindustria nell’adoperare tutte le pressioni necessarie sull’Ue perché si arrivi alla marcatura obbligatoria di origine dei beni importati dai paesi emergenti, cercando così di tamponare il fenomeno esasperante delle contraffazioni. Pur supponendo che così si riesca a creare un deterrente, anche culturale, verso l’acquisto di questi prodotti, si deve anche prestare attenzione che il fiorente mercato è determinato da una domanda sempre più elevata di prodotti a basso costo, anche a discapito della qualità, a causa della sensibile diminuzione del potere di acquisto di gran parte dei consumatori. Insieme alla scelta paneuropea, scellerata, di correre a produrre nel far east, alimentando le competenze e la capacità di imitazione di paesi che, come la Cina, dispongono di un bacino di mezzo miliardo di contadini a cui attingere progressivamente per alimentare l’offerta di manodopera industriale, mantenendone contenuto il costo. La differenza la si può costruire con l’innovazione dei processi e dei prodotti, che può permetterci di rimanere leader di una economia sempre più articolata, in cui il liberismo capitalista deve fare i conti con un innovativo e imprevisto raggio di azione asiatico, fautore di forme di protezionismo inadeguate che si ritorcerebbero contro la necessità di vendere prodotti proprio in quei mercati. Appaiono quindi connessi gli appelli di Montezemolo tesi ad ottenere maggiore attenzione nel Dpef alle esigenze di fare ricerca patrimonializzabile da parte del mondo industriale, insieme alla leadership nella ricerca, rappresentata dagli atenei. La ricerca deve cessare di essere una forma di sovvenzione del mondo universitario e delle aziende coinvolte: si devono cominciare a misurarne i risultati, sfatando la leggenda che ricercare è strutturalmente a basso tasso di successo. Utile sarebbe la creazione di una banca dati unificata nazionale, per titoli ed abstract, delle ricerche effettuate ed in corso; cominceremmo ad evitare ridondanze e potremmo disporre di una offerta nota delle capacità dei nostri ricercatori. Superando così il concetto delle mere “pubblicazioni” e mettendo in condizione l’industria di acquistare nuovi prodotti elaborati, teorie sfruttabili, sperimentazioni efficaci, attraverso l’incontro tra domanda e offerta. Sempre che gli Usa non ci affossino in un’altra guerra dietro l’angolo, caso mai chiedendoci di intervenire nella prossima punizione prevista per l’Iran e, perché no, per la Siria.