Confisca a fini sociali   

Come all’interno di un gioco di telepatie, spesso frutto della spinta decisiva dell’opinione pubblica, finalmente l’assessore alla Sicurezza urbana, Maria Fortuna Incostante, ha potuto proporre e vedere approvati, dalla Giunta regionale della Campania, ben otto piani di riutilizzo di beni confiscati alla mafia campana. Sono circa 700 mila euro quelli messi a disposizione di diverse organizzazioni, Comuni ed enti, tra cui la famosa associazione Libera, per permettere il pieno sfruttamento di immobili confiscati, tra cui la nota casa dei Giuliano a Forcella, il famigerato quartiere off lmit al centro di Napoli, ma anche dislocati in Comuni ad alto rischio ambientale, come Angri, Casal di Principe, Castelvolturno, Villaricca, Pignataro Maggiore e Sarno. Nonostante la giusta soddisfazione dell’assessore, esiste ancora un ingiustificato divario tra il numero e valore dei beni sequestrati, spesso in affidamento giudiziale da oltre quindici anni, ed il loro effettivo utilizzo per usi di carattere collettivo e sociale. Sarebbe utile che i vari osservatori sulla criminalità, insieme alle associazioni costituitisi di recente in campania a difesa della legalità, si facessero carico di denunciare pubblicamente le cifre di questo divario, ponendosi anche come primi sostenitori di una campagna di informazione sulle svariate centinaia di milioni di euro confiscati e non ancora assegnati ad alcun progetto. E’ vero quello che afferma l’assessore Incostante quando afferma che “si tratta di un segnale forte proprio in un momento in cui è in atto una sanguinosa faida: dimostra che la camorra non è invincibile, che può essere contrastata e sconfitta. E che i suoi "tesori" possono essere requisiti e restituiti all’uso pubblico a cominciare da Napoli e in tanti Comuni della regione”. Ma quello di cui abbiamo bisogno per uscire dal tunnel è una illuminazione permanente e non solo dei lampi tardivi e spesso isolati, specie se prodotti in aperta campagna elettorale. Compito ulteriore della politica e dell’informazione, insieme a quel che resta della società civile, dovrà essere poi una attenta opera di vigilanza sui tempi e modi di attuazione di questi progetti, che rischiano di vedere vanificati molti degli sforzi da compiere in funzione delle infiltrazioni e dei paletti che la criminalità organizzata può porre innanzi. Dovremmo monitorare con attenzione ciascuno di questi progetti, garantirne l’appoggio solidale delle popolazioni limitrofe, assicurarne la pubblicità in ogni momento. Solo così hanno non solo successo, le iniziative di restituzione del maltolto, ma riescono a produrre quegli effetti benefici che attendiamo anche dal punto di vista culturale che sottende alla riscossa effettiva dello Stato contro la malavita. Sarebbe significativo se, olrte ai bollettini di guerra metropolitana a cui andiamo soggetti da mesi, sulle pagine dei maggiori quotidiani locali comparisse un notiziario periodico dell’avanzamento delle azioni di affermazione civile della legalità, che ci aggiornasse sugli sviluppi di questi otto progetti e delle molte decine di successivi che aneliamo vedere presto annunciati.