Donne in lista, falso problema   

Le notizie per le donne in questi giorni sono confortanti. Nel mondo della globalizzazione in cui l’economia spinge ad una velocità e la democrazia si muove invece tra estensione dell’Europa da un lato e terrorismo dall’altro, è utile rilevare che in un paese arabo come il Kuwait da domenica scorsa sarà più vicino il diritto di voto alle donne. E’, infatti, stato approvato dal consiglio dei ministri di quel paese uno specifico disegno di legge del 1999 che ora passerà al vaglio dell’assemblea nazionale. Da parte italiana il Ministro per le pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, ha annunciato nei giorni scorsi che le donne candidate nelle liste europee sono il 34,5 per cento del totale, raddoppiando il tetto di cinque anni fa. In molti casi è stata superata quindi la soglia legislativa del 30 per cento, con la Lista Bonino che addirittura vede le donne in maggioranza. Si rivela quindi utile l’indirizzo affidato alla norma, anche se devo sollevare alcune perplessità che ritengo condivisibili. In primo luogo è sempre deleterio quando diviene necessaria una norma per costringere ad agire in un senso riformatore dei costumi, specie quando c’è coincidenza, come in questo caso tra soggetto proponente (il legislatore) e il sogetto costretto (i partiti).A questo si deve aggiungere che nel già infelice panorama della politica dei nostri giorni, che spinge purtroppo l’uomo qualunque a rimpiangere vecchi residuati tangentisti, si corrono dei rischi notevoli nel non tener conto di un limite che la norma crea. Se è vero che la rappresentanza femminile nelle liste, e auguriamoci anche nelle elette, deve meglio rappresentare la reale compagine dell’elettorato che non è a prevalenza maschile, è pur vero che le donne si sono poco attivate non solo nel fare politica, ma anche di occuparsene attivamente. Rispetto agli iscritti ai partiti, ma anche alla presenza di loro rappresentanti nei momenti di vita pubblica, così come in televisione e sulla stampa, la percentuale di donne è ben sotto il 10 per cento. Non volendo entrare nella diatriba della necessità di avere o meno “politici di professione”, è da evidenziare con preoccupazione che si è verificato in passato che le donne fossero inserite in lista solo per “far numero”, lasciando poi a luoghi e seggi sicuri i maschietti. Inoltre donne, o comunque candidati, che vengano presentati in questo modo rischiano, se poi eletti, di creare uno scenario di gregari inutili a favore di pochi potentati. Lo stimolo reale dovrebbe essere quello di creare una maggior partecipazione delle donne alla vita politica attiva, di militanza, ma anche provvedere ad assegnare alle donne incarichi di direzione di enti e settori delle aziende pubbliche e private, di aumentarne il numero nei Consigli di Amministrazione e nelle nomine di Presidenze rilevanti, facendo comprendere che sono disponibili per loro gli stessi percorsi di carriera, le stesse effettive pari opportunità.