Mercato delle sigarette: dal contrabbando alla condivisione   

Molto spesso si attribuisce la fine del contrabbando di sigarette in Italia, ormai ridotto alla vendita di spazzatura incartata, alla vendetta perpetrata intorno al 2001 contro la furia omicida di alcuni fuoristrada che osarono uccidere alcuni uomini della Guardia di Finanza.
In quei mesi si diede grande risalto alla lotta al contrabbando, che vide anche la messa in luce di uomini a metà tra agenti segreti, faccendieri e fiduciari dei maggiori produttori internazionali di tabacco lavorato. Appare evidente che sia invece la diminuzione dell’ingerenza del monopolio di Stato il percorso verso la liberalizzazione del mercato ad avere segnato l’inutilità del contrabbando stesso con la caduta del margine operativo e la possibilità di intervenire con gli stessi mezzi finanziari su un mercato legale fin dalla distribuzione che viene ora privatizzata. Mercato eccezionale se si leggono i numeri che lo compongono, anche solo osservando il prezzo, lievitato a dismisura negli ultimi anni. Secondo le tabelle dell’Aams, il monopolio, il prezzo delle sigarette oscilla tra i 155 euro al chilo fino a 200 euro al chilo al consumatore. Di questo prezzo è destinato il 58,5 per cento all’accisa imposta dallo Stato, il 17 per cento ancora allo Stato come Iva, il 10 per cento al rivenditore e ben il 14,5 per cento al produttore. Quindi al fabbricante giungono dai 23 ai 31 euro al chilo circa. Ciascuno può immaginare quanto sia irrisorio il prezzo alla fonte del tabacco, deciso da poche multinazionali, che oscilla oggi tra i 2 e i 7 euro al chilo in funzione della qualità. In un mercato che dovrebbe essere facilmente controllato, in cui l’Italia rappresenta il 52 per cento della produzione nell’UE, oltre il 70 per cento con la Grecia, si vende a un prezzo di circa 10 volte superiore al costo della materia prima. Che senso avrebbe avuto continuare a mantenere in vita il contrabbando? Piuttosto è scandaloso che, in un mercato non libero per la presenza di grandi trust, si consenta di realizzare margini così considerevoli per un prodotto non solo nocivo ma che crea tossicodipendenza anche indotta da chimica aggiunta.
In barba alla recente condanna a 80 milioni di dollari inferta alla Philip Morris e alle continue insistenze sul proibizionismo alle droghe leggere.