Napoli, calano i cittadini ma non gli abitanti   

Le recenti informazioni relative ai residenti della città di Napoli hanno evidenziato, per la prima volta da anni, un calo della popolazione tale da portarla al di sotto della soglia del milione di abitanti. In controtendenza rispetto alla maggior parte di città italiane e facendo scattare molte illazioni, alcune strumentali. La più semplice, su cui ci aspettiamo una impulsiva e male informata nota del fallace Giorgio Bocca, sarà quella che attribuisce tale calo alla invivibilità della martoriata metropoli, causa di emigrazioni forzate dalla mancanza di lavoro, dalla bassa qualità della vita e dalla dilagante criminalità. Il paradiso abitato da diavoli, come veniva descritta Napoli nel medioevo stimolando anche uno scritto omonimo di Benedetto Croce, può presentare una analisi demografica leggermente più complicata, a metà tra l’ironico e il drammatico. Cominciamo con il porci una domanda semplice: quanti sono i napoletani che vivono in città, ma che risultano residenti nelle provincie limitrofe, o in altre città italiane, con il solo obbiettivo di risparmiare sulla tariffa assicurativa dell’auto o della moto, compresa quella dei propri familiari? Un nucleo di tre persone, padre, madre e figlio, con tre automezzi e uno scooter, può arrivare a ridurre la spesa per la responsabilità civile auto anche del 50 per cento, quasi quattromila euro all’anno. Diciamo che questi “furbi” sono quasi un centinaio di migliaia di individui. Aggiungiamoci quelli che vivono a Napoli ma mantengono la residenza nelle loro città di provenienza, quelli che risiedono artatamente nelle popolarissime isole del golfo, metodo per eludere il divieto dell’uso dell’auto, quelli che “non esistono”, né per l’anagrafe e né per il fisco, e lentamente possiamo tirare un respiro di sollievo, ricominciando a giustificarci quel tremendo continuo flusso di gente, motorizzata e a piedi, che riempie di continuo le strade metropolitane, alimentato da una cerchia provinciale che non riesce proprio a resistere al fascino della città. Ora, però, poniamoci una questione in merito alla gestione economico-finanziaria della città: non è che circolano un venti per cento di cittadini che “usano” la città, eludendone la tassazione locale, pur consumandone i servizi pagati dal resto della collettività? Inizio a comprendere meglio l’idea del “ticket d’accesso” alla città, che di norma mi è sempre sembrata una barbarie.