Saddam Hussein, i crimini e il processo all’Occidente   

Il giudice curdo Rizgar Amin valuta se confermare la sua intenzione di lasciare il seggio assegnatogli con il compito di valutare le colpe di Saddam Hussein, nel discusso processo che vede l’ex presidente iracheno imputato di atroci crimini contro l’umanità.
L’importanza di questo processo per l’Occidente, non solo per le forze della coalizione, è molto sottovalutata dai media e, di conseguenza, dall’opinione pubblica nostrana. Eppure quello che accadrà durante il dibattimento è di fondamentale importanza per dimostrare la coerenza dell’evoluto mondo occidentale rispetto agli orrori che spesso la giustizia araba ci ha insegnato a vedere.
Il valore del processo è provato proprio dalle recenti dimissioni del giudice Amin, pressato dal governo e dagli sciiti per un processo quanto più rapido possibile. Di processo sommario si parla proprio quando pressioni di ogni genere, specie politiche, producono una carenza procedurale per correre verso un verdetto annunciato.
Verdetto che i più sanno essere di condanna a morte, macchia di cui si infangherebbe così chiunque continui a pretendere di avere portato la democrazia in un paese lacerato da continui attentati, specie verso inermi civili.
L’Iraq stabile di un tempo, seppur in dittatura, faceva comodo a tutti specie quando fungeva da baluardo per le mire dominatrici del vicino Iran. Due avvocati della difesa di Hussein sono stati già uccisi, in un’azione che avrebbe prodotto in altri tempi uno scandalo enorme.
Così come continua a produrre scandalo l’ipotesi che l’imputato dinanzi alla corte non sia affatto il vecchio dittatore, ma un suo sosia, come afferma da mesi la moglie che continua a disconoscerlo. Quelle terre sono colme di sangue e disperazione, seguite a un periodo di grandi difficoltà economiche dopo decenni di embargo, macchiato dalle malefatte del programma “Oil for food” di cui non si sente più parlare, forse per l’alto livello dell’entourage coinvolto.
Un veloce processo a Saddam Hussein può essere desiderato solo da chi ha qualcosa da nascondere. Difendere la vita di Saddam Hussein, qualunque siano le sue colpe, è invece l’unico atto che potrebbe comunicare al mondo fondamentalista di che pasta è fatta la democrazia.