Mercato del lavoro e sostegno alla flessibilità   

Esiste un parallelo tra le rivolte in Francia contro il contratto di prima assunzione, la nostra legge Biagi e la decisione di Blair di licenziare gli impiegati inefficenti della amministrazione pubblica? Certamente si.
E l’occasione potrebbe essere utile per discutere intorno al tema del diritto al lavoro, anche alla luce della direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi in Europa. E’ ovvio che si presentano delle necessità di mettere mano al patto sociale che determina le regole del lavoro e dei diritti dei lavoratori, rispondendo ad esigenze che, seppure talvolta contrapposte, sono tutte contingenti. Un punto cruciale attraversa il concetto di flessibilità, apparentemente resa indispensabile dalla nuova concezione di fare impresa nella competizione globale.
Flessibilità che non può creare i disagi emersi dalla differenza esistente tra quanto teorizzava Marco Biagi nel suo Libro Bianco e la legge che porta il suo nome: il welfare indispensabile a sostegno della flessibilità. Ma se le aziende possono beneficiare della flessibilità per aumentare produzione e, conseguentemente, occupazione, è anche indispensabile che si metta mano alle ipocrisie sottostanti l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
La norma che prevede il licenziamento per giusta causa è stata stravolta dall’azione giurisprudenziale che ha teso ad individuare come “giusta” solo la causa “grave”, impedendo così di reprimere i comportamenti di inefficienza troppe volte materializzatisi in alcuni, immediatamente dopo l’aver ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato.
E causa poi, nell’amministrazione pubblica, di veri e propri ricatti tali da impedire il corretto e gestibile flusso di lavoro all’interno della già tanto pesante e antiquata burocrazia italiana. Certo, in Francia come in Italia e così nel Regno Unito sarebbe necessario ben tutelare il lavoratore dal libero arbitrio di chi lo coordina. Ma da qui a giungere al defatigante stato di cose in cui versa oggi la questione, ne passano di differenze. Quelle per cui molte piccole realtà imprenditoriali non riescono ad aumentare il proprio numero di dipendenti oltre una fatidica soglia, tra l’altro non intaccata dai cosiddetti lavoratori atipici.