La nebulosa del caso moro   

Caro direttore, per i tipi della Selene Edizioni è uscito in questi giorni un libro di Maria Fidia Moro, “La nebulosa del caso Moro”, che contiene interventi di diversi autori inerenti il rapimento e la successiva uccisione del padre, l’allora presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, il cui cadavere fu ritrovato 26 anni fa, il 9 maggio del 1978. Tra la miriade di connessioni e fatti “nuovi”, ovvero mai definitivamente accertati o del cui significato non vi è ancora una risposta, la figlia dello statista cita due episodi che potrebbero essere significativi: il più forte è quello, dichiarato successivamente non provabile ma riposto nella memoria della Signora Moro, che narra di come il Presidente fosse salito sul treno Italicus e ne fosse repentinamente disceso per firmare alcuni documenti nelle mani di un suo collaboratore, perdendo così il treno. Quel treno, che rimane nelle memorie di chi allora era senziente come un’eco tremenda delle bombe di Piazza Fontana e Piazza della Loggia (di cui il 28 maggio ricorre il trentennale), esplose in un tunnel nell’estate del ’74 provocando decine di morti e feriti. La coincidenza appare per lo meno notevole, fino a far paventare a molti che questa rivelazione spieghi anche quell’attentato. Contemporaneamente la figlia di Aldo Moro ha anche richiesto la riapertura del caso giudiziario, in particolare per accertare se vi fosse stata da parte dello Stato la responsabilità prevista dal Codice Penale, per cui “non prevenire un evento dannoso equivale a provocarlo”.Purtroppo una tale esigenza potrebbe facilmente far ricorrere la “ragion di Stato” come discolpa per chi scelse allora tra i due piani suggeriti dai consulenti del Comitato di Crisi, composto tutto da iscritti alla loggia P2, istituito allora presso il Ministero degli Interni sotto la responsabilità di Francesco Cossiga. I due piani si chiamavano “Victor” e “Mike”, con un antipatico eufemismo sulle iniziali, che disegnavano due scenari in caso di liberazione o di uccisione dell’ostaggio.Tra i tanti interventi, quelli legati alla memoria sono i più significativi, come il reperimento nelle tasche del Presidente di monete per un totale di 1.950 lire, quando Aldo Moro non usava mai tenere monete in tasca. E’ un periodo strano, quello attuale, in cui il nemico è il terrorismo mediorientale, le cui relazioni con le Br e il Kgb di allora sono provate, in cui riaffiorano misteri legati alla loggia massonica P2, insieme a numerose pubblicazioni e libri che si rintuzzano tra loro, come le nuove rivelazioni del brigatista Franceschini e libri storici sulle Br. Nuove numerose pubblicazioni cartacee ed elettroniche, comprese analisi che si spingono fino ai nostri giorni, in cui la scomparsa di Marco Biagi e Massimo D’Antona sono ancora orrori vivi. Documenti costellati di stranezze come le analisi esoteriche che mettono in relazione Moro con Emanuela Orlandi, il Vaticano e il “mostro” Pacciani, fino ad una organizzazione che ha il funambolico nome di “Rose Rosse” o ad indicare come “fatidico” l’11 giugno prossimo venturo. Come in ogni buon giallo a metà dell’opera restano tante domande: a chi giova usare omicidi come messaggi, a riaccendere l’attenzione sulle cose nostrane, a richiamare la memoria su sigle che apparivano scomparse invece che solo sopite, a non cancellare definitivamente le strutture “deviate” del nostro Stato? I tempi sono cambiati. Oppure no?