Per amore di Lucio Amelio   

Caro direttore, ieri sera da Mimmo Scognamiglio si celebrava Lucio Amelio, insigne, autorevole ed abbandonato promotore d’arte napoletano. A dieci anni dalla sua scomparsa, Mimmo ha saputo ricreare un’atmosfera di ricordo e di rimpianto che solo ad una sensibilità forte e diversa come la sua poteva riuscire. C’era la solita folla d’amici appassionati, insieme agli artisti più capaci di condividere le emozioni, invece di rintanarsi, come spesso oggi accade, per evitare il disagio del basso livello napoletano, con il suo tipico nulla esaltato come divinità. Eppure, da Scognamilio questa volta valeva la pena esserci, non tanto per rivedere opere eccelse di Fermariello, Kunellis, Avallone e altri, ma per sentirlo dichiarare davanti ai filmini Super8 digitalizzati “sono come coltellate in petto”. Tutti ubriachi dell’ottima birra offerta a piene mani, tutti felici e tristi, contemporaneamente. C’erano tanti amici, come Betty Bee, Rosyrox, Giulia Piscitelli, Maurizio Elettrico, intrisi della più maschile femminilità, insieme a quel tipo di gallerista che ama l’arte tanto da visitare il collega, Guido Cabib in testa, ma anche Raffaella Morra: intramontabili. Eravamo tutti là dopo esserci leggermente annoiati da Artiaco, che occupa proprio i locali storici di Amelio a Palazzo Partanna.Dopo la morte di Lucio Amelio, la città, facendosi derubare “Terrae Motus” da un’indebita Caserta, ha avuto come un periodo di lunga morte, dovuta pure alla diminuzione di sponsorizzazioni seguita a tangentopoli, fino alla rinascita bassoliniana delegata al doganiere Cicelin, (una specie di lugubre quanto inadatto cerimoniere), che ha portato metalli, mulini e sale di dubbia fattura (l’ultima spirale metallica ospitata a Piazza Plebiscito era riciclata, speriamo di non averla pure ripagata). Negli ultimi mesi c’è invece da drizzare le antenne: Cabib in particolare sta assumendo un ruolo centrale, riuscendo a portare i nostri “giovani” in America e gli americani qui, una ricetta semplice per avere/dare successo. Nuove gallerie hanno aperto e stanno aprendo i battenti, forti onde di panico che possono e devono stimolare innanzitutto il nuovo. Abbiamo il dovere tutti di partecipare ai festeggiamenti, compiendo l’unico atto capace di stimolare ogni produzione: comprare. Le aziende devono e possono comprare arte contemporanea, perché realizzano un investimento, spesso sicuro, con un buon contributo di detassazione da parte dello Stato. Ma devono imparare a comprare arte contemporanea anche quei cari signorotti di paese che ancora spendono per puttini orinanti, invece che acquisire orina in bottiglia, di più gran stile, checché ne dica Mazziotti. Mi è mancato da morire Achille...