Banche e imprese industriali: la questione resta aperta   

Le dichiarazioni dei giorni scorsi di Alessandro Profumo, Amministratore Delegato Unicredito Italiano, sul fallimento dell’accordo che prevedeva l’ingresso dell’Associazione Bancaria Italiana in Confindustria, devono essere oggetto di un’attenta riflessione. Ai margini della riunione annuale della Fondazione Symbola a Firenze, incentrata sui valori della Soft Economy, Profumo ha detto che “come Abi abbiamo perso una grandissima occasione nel non essere riusciti a diventare parte della Confindustria”, anche perché “sarebbe stato molto importante ridisegnare il sistema delle rappresentanze per affermare che noi banche siamo imprese". Continuare a sostenere un sistema ingessato e distante, in cui viene ancora protetto il mercato nazionale, non serve allo sviluppo della nostra economia, che così rimane sempre più distante dalle evidenze dell’economia globale. Per questo Profumo ha criticato senza veli l’atteggiamento che ha paventato nei mesi scorsi il valore dell’italianità delle banche. "I clienti devono essere liberi di fruire dei servizi, e di confrontare qualità e prezzi in modo oggettivo. Qualunque difesa amministrativa non fa che indebolire il sistema, e solo la competizione rafforza le strutture imprenditoriali". Sembra quasi di sentire parole pronunciate da un qualsiasi imprenditore italiano, specie di quelli che già usufruiscono dei vantaggi offerti dalle banche di molti paesi europei, dall’extraeuro Gran Bretagna passando attraverso le magie francesi e tedesche, minate dalla concorrenza dell’aggressiva e modernissima Spagna. Chi invece è costretto ad operare solo con le banche italiane, di cui stiamo ancora discutendo le norme per garantirne trasparenza e concorrenza, rimane vittima dei ritardi borbonici del legislatore, come dimostra l’ulteriore proroga concessa per le norme sul risparmio appena emanate. Norme che non hanno risolto i problemi di concorrenza e stabilità del sistema, ancora palleggiato tra Authority per la concorrenza e Bankitalia. "Bisogna riragionare tutto il sistema della vigilanza", ha aggiunto Profumo, ricordando che comunque esistono in Europa diversi modelli in materia. "Da noi la resistenza è delle assicurazioni, che non vogliono che scompaia l'Isvap".