Dolore e liberta'   

Caro direttore, uno dei temi più toccanti delle discussioni sull’etica legate alla vita è l’eutanasia. Secondo una ricerca dell’Università Cattolica, almeno il 4 per cento dei rianimatori ha praticato l’eutanasia attiva sui loro pazienti in fin di vita.Il dato si somma alle legislazioni belga e olandesi che hanno di recente allentato ancora i limiti di applicabilità dell’eutanasia, già regolamentata, rendendola attuabile anche sui minori. Ognuno esprimerà sul tema i propri giudizi e le proprie valutazioni, anche se la cosa riesce ad essere più chiara solo per chi ha avuto una esperienza diretta e familiare di malati terminali in stato di grave disagio. Il punto su cui si deve riflettere è che nella cattolica Italia l’eutanasia certamente si pratica, e diffusamente, con travagli più o meno complessi e spesso sempre legati alle capacità anche economiche di ottenere il risultato per un proprio caro. E’ ovviamente difficile darsi risposte certe su questa materia, anche se non posso non ricordare il mio attivissimo padre che, colto da tumore a soli 56 anni, ormai emiparetico e non capace più di parlare, in soli due mesi di decorso, a gesti chiese, e forse ottenne, di porre fine al martirio in cui avrebbe potuto permanere solo pochi altri giorni. Ottenne perché, in realtà, questa pratica è applicata quotidianamente in moltissimi casi, in piena illegalità e senza che per questo venga condannato nessuno. Quello che deve essere scardinato, in questo millennio di grandi tensioni religiose, etiche e morali, è proprio il divieto annullato dalla pratica. Come già fu per l’aborto, omicidio per alcuni al pari dell’eutanasia, al legislatore si impone di liberarsi dai paraocchi e provvedere a delineare, per via legislativa, la regolamentazione e le modalità di applicazione di qualcosa che già accade e che si distingue dall’omicidio per il fine, per il movente. Non è certo la norma a cancellare le emozioni retrostanti all’eutanasia, e spesso all’aborto. Tant’é che per quest’ultimo è previsto comunque un supporto psicologico, che sarebbe utilissimo a quei parenti, a quelle persone, che con l’ausilio di oggettivi riscontri medici, oggi accelerano la fine segnata di persone che, ancor prima dell’ultimo stato vegetativo, passano una inutile trafila di atroci sofferenze. L’attenzione alle problematiche sulla vita e sulla morte, evidenziate pure dalla battaglia contro l’inumana Legge 40 sulla Pma, dovrebbero far parte dei programmi delle prossime coalizioni, marcando ancor più le vere differenze che la politica può e deve determinare. Se la politica non si schiererà su questi argomenti, si darà la sensazione di non scegliere tra diversità centrali del modo di pensare, rappresentando una omogenizzazione interessata al mero potere.