Assise a singhiozzo   

Caro direttore, non riesco a non ripensare in questi giorni a Croce e a Spriano, a “Il resto di niente”, che regalo agli amici non napoletani per presentare la città, non molto mutata dalla fallita rivoluzione del 1799. Quando nel ’91 partecipai attivamente all’Assise di Palazzo Marigliano ricordo che il successo di allora dipese da due grandi fattori: l’identificazione di un obiettivo facilmente individuabile e largamente condiviso, la protezione di Bagnoli da un milione di metri cubi di cemento, e la forza morale e civile di Gerardo Marotta, intorno a cui si coagularono persone come l’architetto Aldo Iannello, oltre al filosofo Aldo Masullo e a tanti altri che trovarono utile militare in quel modo di far politica più legato alla società civile che ai partiti. Quegli eventi erano prodromi degli accadimenti futuri, scanditi da un muro fisico caduto a Berlino e dal muro ideologico caduto in Italia. Non posso non ricordare il peso positivo che ebbe allora l’impegno e la preparazione tecnica di Elio Vito, oggi capogruppo alla Camera di Forza Italia, in cui entrò come membro della pattuglia di radicali eletti nel ’94. Era un tempo in cui a Napoli vagavano le pattuglie di Michele Santoro e in piazza Bellini c’era Oliviero Toscani che sedeva sulla gradinata innanzi a Intra Moenia a parlare del fascino della nostra città, che si costruiva anche davanti ad un tè. Palazzo Marigliano costituì il momento fondante di quella società civile laica, liberale e socialista che una sera, chiusa nella federazione comunista di via dei Fiorentini, scoprì di avere inconsapevolmente annunciato alla stampa che il candidato sindaco alle prime elezioni innovative era il dirigente comunista Antonio Bassolino. Non uno dei vari professori o pensatori di cui si fece allora il nome, ma di un attento e severo funzionario di partito. In quel gruppo di laici si preparavano altri “giovani”, tra cui vorrei ricordare Dino Di Palma, oggi presidente della Provincia. Forse a quel tempo non era chiaro cosa sarebbe poi accaduto, ma intanto sono passati oltre dodici anni che qualcosa avrebbero dovuto insegnarci. L’Assise di allora era basata, in fondo, su un problema di urbanistica, lo stesso tema che scaldò i cuori di chi vide prima “Mani sulla città” di Rosi e che molto dopo fece sognare i napoletani con i progetti per Napoli città obliqua, mobilitando anche Bennato. Oggi invece Aldo Masullo lancia un manifesto da costruire, a cui se serve offro il mio contributo radicale, che appare stranamente appoggiato dopo mesi di vox clamantis mai raccolte dal sindaco o dal governatore. Mi dispiace, Donatone, quei tempi sono andati e il pericolo di strumentalizzazioni politiche di questa operazione sono troppo evidenti. Napoli può essere salvata ormai solo dai napoletani, di cui ancora mi fido, che devono poter però apprezzare risultati tangibili di governo, cosa difficile in un tempo in cui sembrano più frequenti pastrocchie ed accordi; tempi in cui gli accordi pacificatori mantenuti per un certo tempo con la malavita, a danno dello sviluppo, producono oggi richieste inaccettabili; tempi in cui lo sviluppo diviene difficile se non saremo in grado di attrarre investitori, portatori di sviluppo, che portano cultura, che portano coscienza, che portano educazione e civiltà. L’Assise di allora era contro il sacco della città, mandava a casa i governanti. Se questo è l’obbiettivo di oggi sarò vigile e invito alla vigilanza: l’unico vero obbiettivo possibile per salvare Napoli è un patto di solidarietà locale che non tenga fuori nessuna forza politica, e la salvezza può venire solo dal governo della città che, istituzionalmente, è prerogativa della politica. Altrimenti il risultato che otterremo sarà pari al libercolo “Raccontare la Legalità”, voluto dal Premio Napoli per i tipi di Pironti, che rappresenta solo un gran lamento contro l’illegalità, non solo cittadina, ma che non contiene alcun progetto.