L'onesta' della politica   

S’avvia in questi giorni il rush finale per giungere, tumultuosi, al vero avvio della campagna elettorale per il Parlamento italiano, puntando a produrre migrazioni e alleanze che raggiungeranno il culmine durante il periodo estivo. In modo da arrivare, in autunno, a consolidate posizioni di confronto che non diano più spazio a mutamenti di bandiera o alla costituzione di farraginose coalizioni, prodromi di novelli pseudopartiti. Il tutto mentre la popolazione spenderà, quel poco che ha accumulato, in faticoso entertainment da spiaggia, meno in cultura, poco disponibile a prestare attenzione a quanto accade in politica, nazionale e internazionale. Disinteresse sempre più rimarcato dallo scenario complessivo in cui oggi la politica si materializza e si esprime. Assecondando quel cambiamento di modo di fare dell’ultimo decennio, in cui si è tanto parlato di crisi dei partiti, di importanza dei movimenti, di opinione e non, e del terzo settore come nuovo modo di fare politica. E benché si dia peso alle piccole percentuali che fanno oscillare l’ago della bilancia, che sembra determinare il possesso dello scettro, si opera in realtà nello stesso modo in cui si è sempre fatto, da quando in Italia esiste un Parlamento. Superati gli ideali risorgimentali, quelli nazionalsocialisti, quelli della contrapposizione dei blocchi tra capitalismo e comunismo, oggi resta visibile solo la mera realtà della occupazione del potere e della spartizione e condivisione di interessi economici. Ammantati però da una sorta di senso di colpa, di falso pudore, che impedisce ai politici di affrontare di petto e onestamente la realtà dei fatti. L’unico ideale perseguito in modo diretto è quello del potere e del denaro fini a se stessi; senza però la lucidità di comprendere che non c’è niente di male nel farlo. L’esempio di alcuni poteri, come quello regionale campano, insediato stabilmente da dieci anni e proiettato verso i prossimi cinque, è una ottima base di analisi sperimentale del principio di legittimità che andrebbe offerto alla capacità di occupare pienamente ogni ganglio della vita sociale, economica e produttiva, da premiare con il massimo vantaggio personale di chi, questo occupazione, la gestisce. Si è tanto parlato della trasformazione della macchina pubblica dal modello burocratico a quello aziendale, lo si è messo in pratica solo parzialmente nei modelli organizzativi e funzionali: non deve stupirci se dal modello aziendale si acquisisca anche quello dell’esercizio del potere con la doppia finalità del massimo risultato per l’ente, e la società civile che serve, ed il proprio profitto. Proprio e del proprio entourage, fatto dagli uomini e dalle aziende che lo compongono e lo sostengono. Sarebbe necessario rivedere, a questo punto, il concetto proprio di corruzione, lasciando definire l’onestà quella con cui si perseguono gli scopi attesi, sapendo che il rischio che si corre è quello di dover rispondere ai soci, e ai patti di sindacato o lobby, nel momento della scadenza del proprio mandato. Atteggiamento che sembra mancare del tutto in sede di confronto nazionale, dove l’ipocrisia e la mancanza di capacità d’ascolto regnano, ahinoi!, sovrane.