La giacca di Bettino   

Era ora che proprio dai Ds venisse un chiaro segnale di riconoscimento alla lungimiranza e lucidità dell’azione di Bettino Craxi negli anni del suo governo, anzi, nel segno che ha lasciato per un intero ventennio. E’ ora ed è tempo che si ricollochino le monetine lanciate all’uscita dell’Hotel Raphael nelle mani di chi le possedeva, che certo non rappresentava la maggioranza di questo paese e che fino a poco prima era al di fuori di quello che si chiamava arco costituzionale. Quando nel ’92 muoiono Falcone e Borsellino, quando la mafia chiude con la Dc per l’appoggio alle leggi sul carcere duro e sul pentitismo, atto dovuto di Andreotti, uccidendo Salvo Lima, quando nello stesso anno escono le carte sul Pio Albergo Trivulzio e su Mario Chiesa, socialista a Milano, la città da bere, aprendo tangentopoli, Craxi capì cosa era accaduto. La scelta della Mafia di scendere in campo in politica autonomamente, come dichiarato dai pentiti alla commissione antimafia, era dietro l’angolo. E l’uomo di cultura, lo statista, il leader seppe immolarsi unico, chiedendo a gran voce di alzarsi in piedi insieme a lui per rispondere all’attacco alla repubblica condotto, macchiavellicamente, dalla mafia con le stesse armi di cui lo stato disponeva: la giustizia. La farraginosa e impossibile giustizia che permette crimini sanati da una certa, sicura, applicazione della condizionale e che allora fu utilizzata per fare piazza pulita dei nemici, con una veemenza giacobina, degna delle purghe staliniste. Compiuta da anime semplici, come certo deve essere quella del testardo commissario Di Pietro, manovrato a puntino da logge contro logge. Caduto il muro cade anche l’appoggio della Cia e del Kgb a chi di dovere, cade il nostro muro, quello del paese che poco più di quarant’anni prima la guerra l’aveva persa, come la Germania, e che pure fu spartito. Che pure doveva pagare. Ma con Craxi si assiste al cambiamento, Craxi con il coraggio di Mattei, che riporta in auge l’Italia e il suo popolo, contrapponendo i carabinieri ai marines a Sigonella, firmando la sua condanna. In un paese in cui la pratica del consociativismo, l’accordo d’affari tra i partiti dell’arco costituzionale, era divenuta mazzetta insostenibile anche all’usciere del palazzo di potere. E Bettino Craxi sa di essere agnello sacrificale, esiliato, malato, abbandonato, morto. Sa di essere l’unico di cui ci si ricorderà, nel bene, solo nel bene. Poiché il male, quel male, in quegli anni era male di tutti. Vox populi: almeno allora si rubava ma si faceva. Oggi si promette senza che accada nulla, se non avanzare sulla via buia dell’Albania in bancarotta e della fraudolenta Argentina, sperimentando proprio là dove noi italiani abbiamo messo le mani. Pensando a Craxi non si può non essere socialisti. Peccato che adesso, che tutti inizieranno a tirargli la giacca, non potrà più voltarsi a sorridere.