Panariello, Ramazzotti e le croci appese al collo   

Il decreto del Presidente della Repubblica numero173 del 30 Marzo 2001, firmato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e controfirmato dall’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, e dal Guardasigilli Piero Fassino, istituì il nuovo design dell’onorificenza di Commendatore, terzo grado dell’ Ordine “Al merito della Repubblica italiana”.
Quel design che ha previsto un restyling del simbolo della croce, tipico degli ordini cavallereschi da cui promana quello meritorio della Repubblica, criticato con leggerezza da Eros Ramazzotti nei suoi commenti successivi alla ricezione del titolo.
Commento che potrebbe anche sollevare, se fossimo un Paese in grado di guardarsi bene dentro, ulteriori e più significativi giudizi riguardo all’utilizzo di albi e simbologie vetusti, come questo dei meriti repubblicani, che risentono ancora troppo delle influenze caratteristiche di regimi clero-monarchici e di cavalieri utili solo a Dan Brown.
Per esempio la “commenda” che, come riporta il simpatico sito www.etimo.it, era una beneficio ecclesiastico affidato a un secolare, ovvero una rendita o un titolo cavalleresco.
Oltre ai cambiamenti di colore dell’ordine, il decreto del 2001 ha almeno il merito di avere sostituito la stella centrale dei vecchi simboli con il più completo e costituzionale simbolo della Repubblica italiana.
I meriti dei cantanti premiati dalla Repubblica non salvano comunque dalla noia del Sanremo 2006, tropppo spesso infarcito di commenti di basso gusto di cui ormai è piena la televisione, in barba alla sua aspirazione di dare insegnamenti morali.
Aspirazione che il furbissimo Povia utilizza in campagna elettorale per esaltare i valori di famiglia, di cui diviene baluardo difensore, tanto da non poter non fare fantasticare sulle possibili ingerenze tese a farlo diventare protagonista delle prossime settimane.
Ancora una volta in barba ad ogni par condicio e dimostrando come la sottocultura alla qualer cui siamo giunti utilizzi le lacune popolari per insinuare messaggi, men che mai subliminali, di chiaro stampo propagandistico.