Lo sciopero ecumenico dei divorziati cattolici italiani   

Se non si parte dal fondamento penitenziale su cui si basa la Chiesa cattolica, risulta difficile comprendere l’evidente contrasto che esiste tra lo sforzo di aumentare la base di fedeli, anche attraverso la conversione, e il continuo allargamento delle colpe di cui un cattolico si può macchiare. La confessione, accompagnata da pentimento e perdono intercesso ed erogato dal potere sacerdotale, sono la base primaria con cui la Chiesa esercita il suo potere in terra, anche se da tempo la semplice presa di coscienza sembra non avere valore, come dimostra il caso dei separati e dei divorziati di cui si occupa ampiamente il sinodo dei vescovi in questi giorni. E’ solo da pochi anni, infatti, che è proibito ai divorziati il recarsi alla Comunione. Tranne che in alcuni casi: quando cioè il tribunale cattolico, la Sacra Rota, concede l’annullamento del sacramento del matrimonio, uno dei pochi che vede la persona del credente, la coppia, divenire officiante. E’ noto che l’annullamento è una pratica costosa, anche se di recente più economica che in passato, e che passa attraverso odiose analisi del rapporto trascorso, fino a poter essere concesso anche a chi ha avuto figli. L’orrenda ipocrisia che sottostà a questi ragionamenti diviene ancora più feroce quando non si sostiene quel cattolico che si possa trovare ad essere un soggetto involontario di questo peccato, come quando il divorzio viene chiesto da una sola delle due parti in causa. Secondo il Sinodo non è sufficiente neanche il tentativo di riconciliazione, sostenuto pure dai magistrati in campo civile, che i due coniugi spesso tentano prima di separarsi. Bisognerebbe invece sopportare angherie o tradimenti pur di non divenire peccatori. E’ come per la pratica della masturbazione, un sano male inevitabile che però rende succubi al perdono clericale, unica via per affermare una supremazia che, proprio con questi atteggiamenti retrogradi e lontani, il clero va invece perdendo sempre più. Non resta quindi che protestare, assumendosi con coscienza la responsabilità di ricevere comunque il sacramento, in quel grande sciopero di fede che settimanalmente i divorziati praticano nelle chiese italiane.