Siamo tutti orientali   

Caro direttore, una lunga linea rossa unisce le guerre e i genocidi degli ultimi venti anni. Da Sarajevo in poi, passando per il Kossovo, per le Twin Tower, per Israele e Palestina, per l’Iraq, e via fino a Beslan, fino alla morte di Baldoni, fino alle libere due Simone. Quello che realmente accade è semplicemente che la cultura araba, con i suoi vari Islam come noi abbiamo i nostri vari Cristianesimi, si fonde sempre più con la cultura europea, e a nulla varranno le crociate liberatorie, i genocidi nel Darfur o in Cecenia, i governi repressivi Tunisini. Vincono sempre più i libri, la musica, le amicizie nelle università, l’apertura cosmopolita della Francia, l’ospitalità tedesca per i Curdi. Vince il fatto che tanto ritmo mediterraneo percorra la musica pop e i sottofondi di tanto rock. Dai Versetti Satanici in poi, che andrebbero riletti, molti veli sono alzati, e non solo sui visi di tante donne arabe. C’è ancora molto da fare, ma intanto nemmeno le guerre più crudeli, i rapimenti criminali e gli attentati più efferati potranno fermare quello che la storia determina: la vittoria della giustizia e della libertà. I segnali sono tanti e forti quanto le bombe che uccidono a Damasco i capi del terrore di Hamas, con una Siria che si riqualifica da stato canaglia in segreto alleato, scongiurando un attacco militare fautore di un disastro epocale, minacciato come imminente dagli Usa. Sono segnali forti come quelli portati dal Re di Giordania o dal Presidente Pakistano, senza dimenticare quanto hanno fatto per le Simone le più importanti organizzazioni arabe, che si sono messe affianco a quegli italiani che hanno la faccia degli uomini della Croce Rossa, che da Bagdad proprio non se ne vanno. Sono segnali la fine dell’embargo per la Libia, con la nostra Polizia che si preoccupa di addestrarli a combattere quel traffico di droga e delinquenza che il paese non conosceva fino a prima dell’ondata migratoria. E sono segnali i nostri impegni verso quei paesi, gli accordi trilaterali di business con Israele e Palestina. Quello che accade può diventare la nostra ricchezza, può segnare il nostro futuro e realmente costruire l’identità necessaria a trasformarci nel paese di riferimento per il Mediterraneo, con Napoli potenziale protagonista. Se la Cina ci ha permesso di far aumentare l’import/export di oltre il 30 per cento è facilmente immaginabile cosa significherebbe per l’Italia e l’Europa una pace diffusa in Medio Oriente. E allora domandiamoci a chi fa comodo che si rimanga così instabili, a chi fa comodo parlare della Turchia senza il giusto rispetto che il paese merita, indispensabile nella Grande Europa. Domandiamoci quanto si risparmia ad andare in Nord Africa invece che in Cina, che ormai delocalizzare alcune produzioni è una necessità piuttosto che un desiderio.