Qualcuno faccia ammenda   

Caro direttore, per introdurre l’argomento di oggi riporto integralmente la dichiarazione di Casigliani e Manfredi sull’emanazione del regolamento della Cassa delle Ammende: “Siamo finalmente riusciti a leggere il regolamento sulla “Cassa delle Ammende” contenente le istruzioni per la presentazione dei progetti previsti dal Dpr 230 del 2000: 80 milioni di euro (continuamente implementati) per finanziare programmi di reinserimento dei detenuti e di assistenza economica alle loro famiglie. Diciamo subito che, con quattro anni di tempo, il Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) poteva produrre un testo migliore: in otto articoli abbiamo rilevato almeno altrettanti errori e omissioni gravi. Non basta: il 22 luglio scorso, il ministro Castelli, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha scritto che “In data 18 febbraio 2004 il regolamento è stato approvato; nello stesso tempo sono stati deliberati favorevolmente due progetti denominati “Va dove ti porta il cuore” e “La rete che cura”, presentati dal Dap”. Ma il ministro Castelli già il 4 febbraio scorso, in una dichiarazione all’Ansa, dava per scontato il finanziamento dei due progetti, riguardanti la telemedicina e l’assistenza psichiatrica (7 milioni di euro complessivi). La cosa strana è che il regolamento è stato emanato solamente il 26 febbraio 2004 ed è stato inoltrato alle direzioni del Dap, ai Provveditorati Regionali e ai direttori delle carceri con lettera circolare del 30 luglio 2004. Come è possibile finanziare progetti ancor prima di rendere pubbliche le istruzioni indispensabili per presentare gli stessi? E come è possibile che il ministro sapesse in anticipo che tali progetti erano stati non solo presentati ma pure finanziati?La ciliegina sulla torta: le competenze in materia di sanità penitenziaria (in cui rientrano i due progetti finanziati) sono state trasferite dal ministero della Giustizia al ministero della Salute ben cinque anni fa (D.Lgs.230 del 1999); inoltre, le finalità della Cassa delle ammende, chiaramente esplicitate sia nella legge che nel regolamento, sono volte al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti nonché al sostegno delle loro famiglie… ma in Italia l’attuazione delle leggi è una variabile dipendente dagli interessi del potente di turno!”. Effettivamente l’attesa di quattro anni è uno spettacolo indecente per un provvedimento teso ad avvicinare il detenuto, vessato in carcere da condizioni spesso di assoluta invivibilità, quando la prigionia non dovrebbe essere una tortura ma volta al pieno reinserimento. L’augurio è invece che i residui 73 milioni ancora disponibili possano stimolare l’impresa del sociale a produrre progetti di cui sarà importante monitorare efficacia e risultati.