Riformare Paese ed Istituzioni, un’esigenza non più rinviabile   

Molti di noi ricordano ancora i referendum che nell’aprile del 1993 segnarono quel cambiamento che molti definirono fine di una prima Repubblica, al termine di un periodo drammatico che vede il sovrapporsi di indagini sulla corruzione politica con drammatici cambiamenti nello scenario della mafia siciliana e delle sue interferenze sulla vita nazionale. In oltre dodici anni, nonostante le premesse che sembravano dover portare ad uno sviluppo diverso del Paese, siamo giunti alla pessima legge elettorale con cui si è costruito l’attuale Parlamento, che porta a bordo quel meccanismo iniquo che ha preso giustamente il nome di “procellum”. Grazie a sforzi della società civile, primo tra tutti quello del costituzionalista Giovanni Gazzetta, si è avviato così l’iter per due referendum abrogativi che potrebbero cancellare almeno due iatture della nuova legge. Il primo quesito porta il premio di maggioranza non più alle coalizioni, ma alla lista effettivamente più votata, mentre il secondo alza la soglia di sbarramento al 4% alla Camera e all’8% al Senato, favorendo così la nascita di partiti di maggiore importanza e dando maggiori possibilità alla costituzione in Italia di quel bipartitismo che ad oggi sembra ancora lontano. Ma se, come cita l’articolo 49 della Costituzione, tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, forse i referendum non saranno sufficienti e si dovrà mettere mano nuovamente alla riforma elettorale, cosa che richiede però una discussione ampia fino a giungere a maggioranze ancora più ampie. Con un piccolo problema però: riusciranno i partiti a rinunciare alle disgustose prebende pubbliche, sottratte all’imposizione fiscale, di cui oggi ancora si avvantaggiano nonostante voti popolari contrari a cui si sono sottratti di volta in volta con diversi sotterfugi? Riusciranno a rinunciare alla imposizione del nome del candidato, azione assolutamente lontana da ogni presupposto democratico, per esempio rendendo istituzionali le elezioni primarie per i candidati, come avviene nei paesi più evoluti del mondo? Senza una massiccia evidenza del desiderio di cambiamento, già determinabile dal numero di firme che saranno raccolte e dalle paventate proposte di leggi di iniziativa popolare, senza che si costruisca da subito un ampio dibattito tra tutte le forze politiche e sociali, assisteremo ad un ulteriore brutto pasticciaccio influenzato dalle contingenze quotidiane e non da un grande disegno di riforma del Paese e delle sue Istituzioni, la cui necessità diventerà nei prossimi giorni sempre più fortemente palese e manifesta.