Italia e cina: il caso napoli   

Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia-Cina, intervenendo al seminario sulla promozione degli investimenti tra i due paesi, presente anche il primo ministro della repubblica popolare cinese Wen Jiabao e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, ha dichiarato come sia necessario creare le condizioni opportune per la realizzazione di una struttura produttiva italiana in Cina composta in particolare da piccole e medie aziende, ribadendo quanto già sottolineato alla fine dell’anno scorso dal Consiglio direttivo di Confindustria.Un maggior legame tra i due paesi avere successo solo se supportato da una maggiore presenza della capacità speciale di fare impresa delle nostre pmi, producendo anche il vantaggio di diminuire il rischio di contraffazioni.La Cina e l’Asia saranno i soggetti primi dell’attenzione all’internazionalizzazione che le nostre imprese dovranno mettere in campo, insieme ai paesi dell’allargamento dell’UE. E a questo dovranno servire le misure di supporto come la 6.5 del POR, ma anche l’impegno di indirizzo e supporto che proviene delle Camere di Commercio e delle associazioni datoriali.Credo che sia giunto il momento però di prestare maggiore attenzione anche alle imprese cinesi che si sono e si stanno insediando sul nostro territorio, interrompendo definitivamente la linea di pensiero che evidenzia solo la preoccupazione di una concorrenza aggressiva. Specie a Sud è indispensabile che aumenti ogni forma di investimento produttivo e la capacità di essere attrattivi non può nascondere un sottile razzismo (o occidentalismo) per il quale è da preferire un insediamento tedesco piuttosto che americano a quello cinese.La Cina esprime realtà di dimensioni tali da auspicare la creazione di specifici vantaggi per quelle compagnie cinesi che decidessero di essere presenti nei nostri territori, creando ovviamente occupazione, ma anche indotto e quindi ricchezza.Partendo da esperienze come quelle della italo-cinese CosCo nel porto di Napoli, fino a disegnare linee di integrazione che siano capaci di trasformare vincoli in risorse, come può e deve avvenire nella filiera della moda nel distretto di San Giuseppe Vesuviano e nell’area delle subforniture in particolare nel settore della plastica.La prima integrazione deve venire dalle associazioni datoriali che sono espressione prima del territorio e della sua capacità produttiva.Ed è il territorio che deve sollecitare la partecipazione, l’adesione associativa anche della azienda estera, cinese o meno, creando sportelli di accoglienza insieme alle Camere di Commercio, in grado di suggerire indirizzi e supportare la crescita di quelle comunità che hanno dimostrato interesse a stanziarsi nelle nostre aree, di concerto con gli Enti Locali, materializzando quella tipica ospitalità che ci contraddistingue e che può sostanziarsi anche in specifiche misure di sostegno. Uno sportello per l’immigrazione industriale sarebbe una altra grande novità che potrebbe esprimere il prossimo presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Napoli, in linea con le inziative di Confindustria che, tra l’altro, è socio fondatore della Fondazione Italia-Cina.