Taglia e cuci   

Caro direttore, lo scontro sul taglio delle tasse diventa ogni giorno più complesso, in un momento in cui si deve esprimere un sincero giudizio positivo per il complesso di azioni del ministro Siniscalco, che appare sempre più prigioniero di giochi politici e non della necessaria azione di buon governo da compiere per sanare i conti pubblici. Così, mentre si saltella dalla prima proposta di ridurre a sole due aliquote la tassazione Irpef, il Governo, nel suo attuale assetto, vacilla fino al rimpasto mentre An chiede di portare almeno a 4 le aliquote; con le forze di centro dei due poli che fanno scudo comune alla riduzione annunciata. Da oggi, e con la dovuta chiarezza, anche Confindustria, attraverso il suo presidente, si è schierata decisamente contro la riduzione dell’Irpef, per chiedere che invece siano le aziende a beneficiare di una eventuale riduzione, cominciando proprio da quell’Irap che l’attuale presidente del Consiglio chiamò “imposta rapina”, per favorire quell’incremento di Pil che tutti auspicano. Berlusconi risulta però assediato, con tensioni che mirano ad alzare il prezzo da pagare a ciascuno per mantenere in piedi l’alleanza. Se però gli è stato utile l’esempio americano, che lui stesso cita per il fatto che Bush abbia vinto proprio per il taglio delle imposte, sembra strano che nessuno gli consigli le poche mosse da condurre per dare maggior lustro proprio al governo in itinere. L’America ha dimostrato che per vincere è sufficiente accontentare il popolo, fatto da operai, impiegati, contadini, soldati e persone semplici, come i rinati e gli evangelici, a cui guarda con attenzione anche il Vaticano; persone che ignorano il pensiero dotto ed intellettuale, talvolta tacciandolo di eresia. Al popolo ha saputo ben parlare, a suo tempo anche con le sue tv, il nostro presidente, che oggi è però colpevolmente meno presente e visibile in quei cuori, angustiati dalla crisi economica. L’altro asso nella manica di Bush sono state sicuramente le lobby economiche, beneficiate dall’incremento di fatturato determinato dalla guerra e dalla ricostruzione, insieme ai profitti sugli investimenti in compagnie assicuratrici, petrolifere e della difesa. Qual è il patto di Berlusconi con la nostra industria, con i nostri investitori? Qual è il vantaggio per le piccole lobby nostrane? In ultimo è evidente che se l’elezione di Bush favorirà il sempre declamato alleato italiano, quello stesso alleato è oggi però meno spendibile nel consesso europeo e internazionale, dopo lo scivolone fatto sulla buccia Buttiglione, che sembra essere stata infilata ad arte sotto i piedi del nostro governo. Avendo rinunciato a Mario Monti e alla sua competenza estrema nel mondo degli affari multinazionali, Berlusconi dovrebbe dovuto comprendere che poteva trovare gran riscatto nell’offrire all’Europa il commissario Emma Bonino (per questioni di equilibrio il posto è toccato, come si sa, a Frattini), il cui gran prestigio internazionale darebbe supporto anche alla commissione Barroso. Bush ha avuto la sagacia e la fortuna di coprire con la paura e con la guerra molte delle azioni di lobby compiute a volte anche in danno di chi lo ha rieletto. Come dovrebbe fare oggi Berlusconi per glissare sull’uso, ad esempio, dell’otto per mille per il salvataggio di Alitalia.