Su Ha'aretz del 23 febbraio scorso, Ze'ev Schiff, in un bell’articolo dal titolo “Che la spada non ci cada di mano”, trova la conferma a quello che all’epoca indicò Moshe Dayan. Scrive Schiff “Quando Yaakov Peri nel 1994 lasciò la carica di capo dei servizi di sicurezza, l’allora capo dei servizi di sicurezza preventiva dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania Jibril Rajoub gli telefonò per esprimergli il proprio dispiacere.
“E’ un colpo tremendo alla sicurezza dello stato” disse Rajoub, e lo stato di cui stava parlando era Israele. In effetti, all’epoca Rajoub lavorava sodo per impedire lo scoppio di una seconda intifada. Quello stesso Jibril Rajoub è apparso poco fa alla televisione e ha scioccato i suoi amici israeliani affermando che, alla fine, i palestinesi si riprenderanno ogni centimetro della terra fra il fiume Giordano e il mare. Rajoub non ricopre più l’incarico di allora, è vero, ma questa sua improvvisa dichiarazione in stile Hamas è una di quelle che mettono seriamente in crisi la nostra fiducia nelle prese di posizione dei palestinesi cosiddetti “moderati”.
Con tutto il rispetto per i miei amici palestinesi, ciò che devo dedurre da questo genere di affermazioni è che dovremmo tapparci le orecchie ogni volta che i palestinesi elargiscono promesse sulla loro disponibilità a vivere a fianco di Israele. Non sono le parole che contano, ma i fatti e solo i fatti. C’è una sola possibile conclusione, ed è quella Moshe Dayan enunciò nel suo discorso sulla tomba di Roi Rutenberg, assassinato in Israele negli anni ’50 da arabi di Gaza [allora sotto controllo arabo]: “Questa è la scelta della nostra vita: essere pronti e armati, forti e determinati, affinché la spada non ci cada dalla mani e le nostre vite non vengano troncate”. Quando l’ex capo del Mossad Ephraim Halevy dice che Israele non ha bisogno del riconoscimento di Hamas, quello che fa è spostare il tema della discussione verso gli aspetti sostanziali, etici e diplomatici. La questione centrale, qui, nonché la nostra principale preoccupazione è la continuazione del terrorismo, che oggi si manifesta nei continui lanci di Qassam, nel rifiuto di rilasciare Gilad Shalit, nei continui tentativi di realizzare attentati suicidi e nel massiccio traffico di armi ed esplosivi. Mettere fine a tutto questo è parte integrante delle richieste del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu). È chiaro che Israele deve aiutare Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e, attraverso di lui, il sofferente popolo palestinese. Ma non può assecondare il subdolo tentativo di Hamas di usare un uomo moderato e positivo come Salam Fayad, probabile ministro delle finanze nel nuovo governo di unità nazionale, per far arrivare soldi direttamente nelle mani dei ministri di Hamas, compresi quelli che sono alla testa dell’ala militare (terroristica) del movimento. Avere nella striscia di Gaza e all’interno dell’Autorità Palestinese una forza di moderazione è senz’altro nell’interesse di Israele, ma non è abbastanza: Israele deve insistere perché palestinesi superino il test cruciale della lotta al terrorismo e della piena applicazione di tutti gli accordi“.