Protezionismo perverso   

Vorremmo tutti raggiungere Bari e Reggio Calabria in modo più agevole, ma anche Pescara o Messina. Eppure le prime grandi opere a cui assistiamo sono allargamenti delle stradone che uniscono Torino con Venezia. Ma in fondo che fa:. c’è sempre l’aereo. Vorremmo più alberghi e villaggi nella lunga costa che scende da Gaeta fino a parecchi chilometri più giù di Salerno. Eppure gli shà e i giapponesi continuano a investire in Sardegna. Ma in fondo che fa: abbiamo le spiagge libere, un po’ sozze, ma libere. Vorremmo andare a mangiare prodotti tipici a Telese come a Nusco o nel Pollino, visitare i parchi naturali e le sagre di paese, anche in Abbruzzo e in Basilicata, vorremmo non dover chiedere solo al ben informato il numero di telefono di quel raro agriturismo sperso non ricordo dove. Ma le strade sono rare come le informazioni, impervie come l’accesso ai fondi per lo sviluppo agricolo e turistico, impraticabili come la burocrazia per le autorizzazioni (a procedere?). Una parte di questo disagio, ribadirei “una parte” per i meno attenti, è anche legato alla presenza di una forza che ancora ritiene di poter essere a se stante: l’ambientalismo. L’ira funesta si può abbattere su queste righe, ma una riflessione è d’obbligo. Che forse l’ambientalismo non sia divenuto una semplice arma di ricatto politico senza il cui placet non si possa procedere? Non capita forse, spesso, che alcune cose non si facciano perché, tuoni e fulmini, gli ambientalisti sono insorti? Ora contro quella strada, o autostrada, ora contro quel ponte, ora contro quell’albergo, ora contro quella discarica, contro quella fabbrica, contro quei palazzi, contro quei villaggi, contro, contro. Nell’involuzione industriale del mezzogiorno una larga fetta di disagio è composta dalla difficoltà del costruire, nel pubblico come nel privato, infilati come si è in lacciuoli e autorizzazioni, a cui si deve sempre accompagnare il certo confronto con l’ennesima testa del mostro burocratico: l’ambientalismo. Nessuno potrà o vorrà mai negarne la rilevanza sociale, nessuno vuole cancellarne la grande valenza nell’aver risvegliato in tutti noi una grande attenzione alla protezione della natura, di noi stessi, quindi, che ne facciamo comunque parte. Ma come tutti gli eccessi anche questo nuovo protezionismo rischia di divenire un danno forse più incalcolabile di quanto cerchi di proteggere. L’ambientalismo sfrenato, spesso carente di proposte alternative davanti a progetti di sviluppo infrastrutturale, edilizio e quindi economico, diviene un boomerang ingestibile se non entra a far parte in modo più organico del fare e stare insieme. Insomma, di cotanta natura vorremmo pure goderne un po’. E per farlo meglio, e insieme, sarebbe utile che l’ambientalismo, come già accade in barba ai settaristi, entri di più a far parte coesa dell’insieme del progetto politico delle diverse forze in campo, come sembra faccia bene Sinistra Ecologista. Imparando a trasformare il vincolo, insito nel proteggere, nella grande risorsa del fare: insieme però, come dovrebbe insegnarci la grande tavola rotonda di Agenda 21. A proposito, che fine ha fatto nella nostra provincia?