Rinascita democratica del Paese: le verità offuscate nel piano   

Sessant’anni fa, il 1° di maggio del 1947, morivano in Sicilia 11 persone, molte delle quali estremamente giovani, scientemente ammassate in festeggiamenti elettorali a Portella delle Ginestre, per mano di mafiosi servi di regime, armati e addestrati dalla mano violenta di Junio Valerio Borghese su ordini internazionali, e capeggiati dal futuro annunciato cadavere del boss Salvatore Giuliano, uno di quei mafiosi contadini che all’epoca erano seppelliti dalla loro ignoranza, a differenza dei magnati della finanza di oggi. Borghese è lo stesso criminale che si evidenziò per gravi omicidi nella fase terminale della seconda guerra mondiale e che poi ha ricevuto tutti gli appoggi necessari a condurre il tentato golpe in Italia nel 1970, fermato misteriosamente da lui stesso. Più volte e da più parti si è tentato di creare una connessione precisa tra il fenomeno della Loggia P2 capeggiata dal Gran Maestro Venerabile Licio Gelli e le diverse trame nere a cui sono state addebitati diversi episodi oscuri e tragici della vita italiana. Tutto ben poco credibile, in tutte le varie forme che ci sono state rappresentate, e che invece appare semplicemente essere parte di un complesso disegno di equilibri internazionali, legati sia al periodo della guerra fredda e sia alle indicibili manovre per il controllo della produzione di petrolio in medio oriente. In questo guazzabuglio ben poco democratico, vale la pena di rianalizzare in una nuova luce quel documento che fu ritrovato nel 1982, malcelato, tra le mani della figlia di Licio Gelli e conosciuto come “Piano di Rinascita Democratica”. La “scoperta” avvenne circa sei mesi dopo che il Parlameno italiano decretò lo scioglimento della Loggia P2, e certe cose non capitano per caso, come ci si è dato a bere. In effetti il documento, pur nella sua simulata forma di bozza, deve essere riletto con attenzione. Non tanto per scoprire che molte delle riforme ed azioni indicate sono state effettivamente realizzate, ma per interrogarsi con sincerità sulla condivisibilità dei contenuti. Punto per punto, se si epura qualche anacronismo, si potrà individuare nel Piano una seria rivisitazione della vetusta italietta degli anni ’50 in grado di riportarla al passo con le moderne democrazie occidentali. E il lungo elenco di obbiettivi sembra ormai condiviso in modo bipartisan dalle forze del bipolarismo, che stesso il documento auspicava, già indicando una suddivisione all’americana della politica nostrana, partendo da un scissione della Democrazia cristiana allora mai prevedibile. Ora che lentamente si riequilibrano gli scenari, a cominciare dal tentativo di costruire il Polpettone democratico, che farà seguire a Fassino la stessa sorte dell’immolato Occhetto, sarebbe democratico e coerente ridiscutere quel Piano e valutarne pubblicamente un suo ammodernamento, scevro da quei pregiudizi che lo hanno accompagnato negli ultimi venticinque anni, forse proprio a causa della sua fonte di provenienza. Non solo per l’illuminismo laico di cui è pervaso, ma anche per il palese progressismo occidentale di molti degli obiettivi indicati.