I conti non tornano   

I conti iniziano a non tornare. O forse tornano fin troppo. Dopo quattro anni di congiuntura sfavorevole, cominciando dal disagio che l’allineamento dell’euro ha determinato nell’inevitabile aumento dei prezzi, passando per il pericolo creato dal terrorismo internazionale fino alla scelta di inviare truppe in Iraq, contrapponendosi alle scelte di Francia e Germania, il governo Berlusconi si presenta ad una delicatissima riunione al Senato. Con alleati in fibrillazione se non decisamente defilati. Eppure questa crisi in itinere sembra troppo costruita, troppo attendibile. Quando la Casa delle Libertà vinse le precedenti elezioni politiche, in molti nacque il sospetto che nel centrosinistra si fossero create tutte le condizioni migliori per perderle. Partendo dalla candidatura a premier dell’agnello sacrificale Rutelli. Forse non è poi così encomiabile un presidente del Consiglio che, in questa condizione, abbia anche agito a tutela degli interessi propri e dei propri scudieri. Superati ormai i dieci anni da tangentopoli e avendo ricostruito quell’insieme di storture che la corruzione ha sempre determinato nella gestione del potere, non solo in Italia e non solo nel secolo scorso. A molti è parso allora, e le vicende di questi giorni sembrano provarlo, che Silvio Berlusconi fosse già condannato in precedenza a sostenere un quinquennio difficilissimo, per poi costringerlo ad una uscita definitiva dal sistema della politica. Sistema che vede spesso collusioni con quello della malavita organizzata, mafia o camorra che sia, con patti scellerati compiuti con esperimenti istituzionali partiti proprio nel lontano, ma non troppo, 1992. La lotta che si conduce in queste ore possiede anche, a livello nazionale e in diverse regioni, il sapore della conclusione della discesa in campo di organizzazioni che hanno tentato il controllo diretto della vita politica, senza mediazioni. E la politica, quella dei partiti e dei professionisti, oggi presenta il conto: a ciascuno il suo. Non si possono ignorare i collegamenti che esistono tra lo spostamento della proprietà della più imponente macchina aziendale d’Italia, Mediaset, che colloca una cospicua porzione del capitale nelle mani delle banche e di altri investitori. Come accadrà parimenti per la Fiat se il pool di banche creditrici opterà, per rientrare dei propri denari, per la scelta di controllare l’industria italiana delle auto. Un gran movimento di quattrini che si accompagna ad acquisizioni, cessioni e fusioni in ambito bancario, con la nascita di imprenditori nel settore immobiliare di cui anche il più grande giornale finanziario del paese si domanda l’origine delle notevoli disponibilità liquide. Insieme, è bene non dimenticarlo, alla notevole riduzione del livello di guardia e di attenzione giudiziaria e politica alla questione mafiosa, che di soldi ne muove quanti e più delle due grandi aziende italiane citate, ovviamente esentasse. Forse qualcuno ha immaginato di poter restituire alla sinistra la patata bollente del governo di questo paese allo sbando, volenti o nolenti, in modo da sottrargli il lustro che deriva da qualche anno di gestione regionale di fondi comunitari ancora per poco disponibili, creando disagio alla sinistra che vede un centro sempre più forte e agguerrito. E tutte le condizioni per il ritorno del grande vecchio, oops, del grande centro sembrano lentamente materializzarsi.