Il confronto unico   

Nella strategia complessa di Silvio Berlusconi, e degli interessi che rappresenta, l’accelerazione sul tema del partito unico è una mossa tattica che soddisfa pienamente la necessità di aprire un confronto interno ed esterno, negato dalla necessità di evitare le elezioni anticipate, anche per non vanificare la scadenza referendaria del 12 e 13 giugno prossimi. Internamente Berlusconi pone un primo grande confronto sulla necessità di evitare le derive provenienti dalle pressioni dei partitini, come Udc e Lega, che non permettono di percorrere velocemente e agevolmente i piani di rivoluzione democratica, già tanto cari al piano che fu ritrovato tra le carte di Licio Gelli. E che è tanto gradito a poteri internazionali fiduciosi di una Italia diversa nel Mediterraneo. Ma pone anche un forte e ingestibile confronto all’interno dell’Unione, che più volte ha proclamato l’esigenza di un bipolarismo maturo, ma che non ha alcuna chance di riuscire ad unire, in un unico partito, le istanze dei cattolici Romano Prodi e Francesco Rutelli con quelle postrivoluzionarie, ed ancora definite comuniste, dell’elegante narcotico dei movimenti, Fausto Bertinotti. Problemi ben più ampi dell’assorbimento delle istanze leghiste, ormai decapitate dallo stato di salute più che precario di Bossi e dalla inconsistenza politica e culturale degli altri esponenti padani. E problemi ben più complessi dell’assorbimento del residuo di Udc, con l’avocazione a se di un politico di mestiere e saggezza, come Marco Follini, reso debole dal bigottismo di Rocco Buttiglione ormai incapace di esprimere alcun senso nel mondo intellettuale cattolico. Con il partito unico invece Berlusconi potrebbe creare una grande forza di destra e popolare, ben rappresentativa delle istanze di una parte definita del paese. Dando maggiore spazio anche alle istanze evolute che provengono dal partito di Gianfranco Fini che ha già irrigimentato i propri delfini costringendoli alla cancellazione di movimenti e corrente interne non più in grado di rappresentare istanze da gestire in modo scisso dall’insieme, come è stato per il coraggioso gesto di Alemanno sulla Destra Sociale. Il vero disagiato dalla accelerazione sul partito unico è quindi proprio Romano Prodi, che, seppur presentato come leader maximo, concretamente non esprime appieno quel fronte unitario progressista, che dovrebbe attenere alla sinistra. Basando proprio su questo disagio Berlusconi sa di poter mettere in difficoltà irrisolvibili l’avversario, evidenziando la scissione ideologica inevitabile che esiste tra il centro moderato e la sinistra, da sempre ulteriormente scissa in due anime inconciliabili tra loro. E’ divertente, quando non ridicolo, sentire alcuni esponenti politici definirsi nel contempo laici, cristiani, moderati, riformisti e liberali, nonché ispirati dai principi socialisti. Un po’ come l’uomo nuovo di Giorgio Gaber. Non si capisce quali altre istanze restino a disposizione dell’avversario, a riprova che la vera crisi del sistema politico italiano risieda nel coraggio della coerenza: quella che contrappone al rischio della sconfitta elettorale la possibilità di segnare il proprio nome nella storia, producendo risultati di crescita culturale, sociale ed economica per il proprio paese.