Petrolio, caso Unocal: la riscossa cinese nel Wto   

Il caso Unocal, la compagnia petrolifera contesa tra le offerte della Chevron e quelle della Cnooc cinese, è il segno della modernità a cui dovremo abituarci.
Grazie alla globalizzazione voluta dal WTO, organizzazione criticata da Giulio Tremonti all’ultimo consiglio nazionale di Forza Italia al pari di qualunque no-global, è oggi possibile vedere come una compagnia cinese concorra regolarmente al controllo di una grande compagnia petrolifera, potendosi permettere una offerta largamente superiore ai suoi concorrenti, anche perché i giacimenti di Unocal sono per lo più in Asia. In America la coppia Bush-Cheney, e i suoi palesi interessi petroliferi internazionali, si trova così leggermente spiazzata e utilizza, per parlare di problemi di sicurezza nazionale, anche l’altra offerta cinese, quella per il controllo della produttrice Maytag di elettrodomestici, che vede in lizza la cinese Haier contro la Ripplewood. Siamo ad un punto delicato di non ritorno, se su questi argomenti si esprime anche l’ex direttore della CIA, James Woolsey, che davanti al congresso Usa parla della Cina come della più potente dittatura comunista. E’ un po’ tardi per ricordarsi dei gravissimi problemi di diritti civili esistenti nei paesi in cui la democrazia non si è ancora insediata, problema che attanaglia la Cina come molti altri paesi asiatici, mediorientali e africani. Problemi ignorati solo quando si erogano finanziamenti e si fanno convenienti affari, ben sapendo che alimenteranno corruttele e dispotismi.
Wto e sviluppo dei paesi terzi hanno il piccolo difetto di aumentare la concorrenza, provocando gravi cali di coerenza e di stile quando si viene colpiti negli interessi privatistici dei potentati mondiali. Se la Exxon presenta una trimestrale con un incremento di oltre 32 punti percentuali, grazie all’aumento del prezzo del petrolio, che presto giungerà ad 80 dollari al barile, non ci si immagini che i nuovi ricchi siano costretti a rimanere a guardare.Altro che dazi sul tessile, quindi. Peccato che le aziende italiane siano così ridicolmente piccole da non poter sperare di entrare in questo nuovo lucroso gioco del riassetto economico mondiale.