Separati sempre più   

Caro direttore, passando in tribunale, a Napoli, lungo il corridoio che porta alla sede dell’Ordine degli avvocati, si può leggere, affissa in una bacheca, una lettera di un funzionario-cittadino, come si definisce, che implora aiuto al suo presidente per l’abnorme carico di lavoro determinato dagli aumenti di istanze di scioglimento dei matrimoni. “Ho capito che la famiglia è una società naturale basata sulla separazione e sul divorzio” scrive il funzionario, che indica come raddoppiate le istanze negli ultimi dodici mesi, preannunciando i dati nazionali comunicati nei giorni scorsi. Per snellire le procedure sarebbe da annullare la stesura dei lunghi verbali amanuensi (qualcuno abroghi dalle norme la dicitura “scritto di suo pugno”). Sarebbero anche da dividere le iscrizioni a ruolo delle coppie che si separano consensualmente, soggette ad ipocriti tentativi di ricomposizione, da quelle con lite per colpa, che sollecitano tensioni anche in chi forse è meno teso e che comportano estenuanti attese per gli altri. Ma, procedure a parte, cosa sta accadendo? Cosa ha spinto persino la Cei a richiamare a se i “divorziati risposati”, ammessi alla funzione religiosa ma non al sacramento della comunione? Non è certo il senso di famiglia, quello che manca, essendo diffuso il costume delle famiglie allargate. E’ il pressing negativo a cui siamo sottoposti ormai tutti, di ogni ceto e livello culturale, che spinge a risolvere le crisi coniugali con l’atto finale. E’ la mancanza di valori, di capacità da dopoguerra di stringersi l’un l’altro davanti al carovita dell’euro, davanti alla precarietà della vita, minata da ormai frequenti tumori, da guerre ed attentati, da coltelli ed armi venduti come negli Usa. E’ la precarietà del reddito, non solo del lavoro, che minaccia l’impiegato come il commerciante, come la piccola azienda. E’ la violenza comminata da ogni film, si badi bene, ben organizzata per target, per età, per censo. Insieme all’assoluta mancanza di rispetto per l’altro, alla mancanza di amore diffusa. Tutto in nome del dio denaro, causa anche di molte delle liti, perché troppo poco, o troppo, mal distribuito nella coppia; perché ambito. I calcoli sono semplici: non ci sono più i nonni, saggi e severi, a porre limiti, quelli nati nei primi decenni del secolo scorso; i nonni attuali sono quelli nati intorno alla metà del secolo, pagata la guerra e stupiti dagli anni’70. I divorziandi sono i figli di quegli anni, sessualmente liberati e edonisticamente reganizzati. Con genitori che non si separavano in tribunale, ma che spesso non vivevano già più insieme. Quando sento parlare dei ventenni attuali me li definiscono come “molto pratici”, ho paura di capire che cosa significhi realmente