Azione collettiva legale e imprese: rivedere il concetto di consumatore   

La patata bollente del disegno di legge 1495, a firma dell’onorevole Bersani e altri del luglio 2006, relativo alla possibilità di esercitare in Italia una azione collettiva legale, la cosiddetta ‘class action’, è nelle mani della seconda commissione giustizia della Camera dei deputati, che ha recepito anche numerose proposte di legge concorrenti, tutte interne alla compagine di governo, procedendo alla audizione dei soggetti interessati: associazioni dei consumatori e associazioni di imprenditori, Confindustria in testa. La normativa si rende necessaria per permettere la possibilità di una azione collettiva contro soprusi esercitati contro numerosi consumatori contemporaneamente, che ad oggi devono intentare ciascuno la propria azione in sede civile, con evidente impossibilità per la maggior parte di loro. Anche perché spesso si tratta di temi da poche decine di euro che non giustificano i costi individuali di un procedimento, ma che spesso producono il coinvolgimento di decine di milioni di utenti, come nei settori dei servizi di telefonia o di energia, con indebiti profitti mai più stornabili. Il disegno di legge del governo presenta forti carenze, come evidente dai correttivi suggeriti in particolare dalle proposte Fabris (1330), Poretti-Capezzone (1443), Pedica (1834) e Grillini (1882), tutti appartenenti alla maggioranza. Nel confronto si parte dalla necessità di una norma autonoma e non dalla semplice modifica del codice del consumo (L.206/05), dalla possibilità che chiunque possa intentare una azione e non solo alcune associazioni di consumatori, dal risarcimento automatico e non dalla ipotesi che ciascuno debba ripetere la medesima causa, dall’approvazione individuale ad eventuali transazioni e non alla loro automatica e supina accettazione, nella introduzione del danno punitivo, assente nel disegno di governo come è assente ogni riferimento alla necessaria automatica nullità del patto se contratto in funzione di pubblicità ingannevole accertata dall’authority competente. Il lavoro da completare è vasto e dispiace notare l’assoluta assenza di proposte alternative della opposizione di centro-destra. A noi preoccupa l’ottica che paventa un contrasto di interessi tra imprese e cittadini; mentre alle imprese, specie al grande mondo delle Pmi, la class action dovrebbe interessare anche a tutela del dissanguamento sopportato quotidianamente da numerose vessazioni, contro cui opporsi risulta parimenti antieconomico. Se di azione collettiva si deve parlare, è ovvio che vi possa essere interesse delle aziende nel poter esercitare tale azione senza l’ausilio obbligatorio di associazioni di consumatori, pur volendo immaginare invece l’apporto facoltativo della forza delle associazioni datoriali. E non solo a tutela di impropri comportamenti di fornitori privati, ma anche per vedere condannati, quando giusto, anche gli enti della pubblica amministrazione locale e centrale, compreso lo Stato. Anche per non ridurre le istanze riformiste e liberali a bandiere da sventolare solo per costruire mero consenso nazionalpopolare, e ricevere invece il plauso per atti concreti di rinnovo del Paese.