Nel catechismo dei cattolici si indulge sulla pena di morte   

Una delle prime operazioni mediatiche di Joseph Ratzinger fù quella di dare alle stampe il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, edito dalla Edizioni S.Paolo Srl, e di cui, da Cardinale, fu il Presidente della Commissione speciale appositamente istituita. Il libro è uno strumento utilissimo per chi cerca affermazioni vere del vero cattolicesimo, come afferma lo stesso Ratzinger nella sua introduzione. Ed è allora con una certa costernazione che si leggono i primi paragrafi riportati a chiarimento del capitolo “Il quinto comandamento: non uccidere”. Nel paragrafo 466, che spiega perché la vita umana è sacra, si legge “(...)A nessuno è lecito distruggere un essere umano innocente (…)” Quella ultima parola, innocente, suona come una furente tromba d’angeli, come una eco che disorienta: innocente. Per quanto ci riguarda andrebbe semplicemente eliminata, perché la vita è sacra per i colpevoli quanto per gli innocenti, se si è contrari alla pena di morte. Di ciò, della pena di morte, continua ad occuparsi il Compendio nel terzo e quarto paragrafo sul tema del quinto comandamento, numerati 468 e 469. Perché? Perché è necessario qui intitolare il paragrafo 468 “A che serve una pena?”. Si parla dell’uccidere e non della giustizia, quindi appare strano che si parli qui dell’utilità delle pene. Ma la spiegazione è nel paragrafo successivo, quando si dice, parlando del divieto di uccidere, che “La pena da infliggere deve essere proporzionata alla gravità del delitto.” come introduzione ad un panegirico infinito, se proporzionato all’argomento e ad altri paragrafi, in cui si afferma che i casi di assoluta necessità di pena di morte sono “ormai molto rari, se non praticamente inesistenti”. Per poi concludere che l’autorità si può limitare ai mezzi incruenti, quando però questi “sono sufficienti”. Insomma la Chiesa Cattolica non sembra totalmente, chiaramente e inequivocabilmente contro qualunque caso di pena di morte. Esistono nei chiarimenti del Catechismo, evidenti maglie attraverso cui filtrano la non difesa della vita dei colpevoli, qualunque crimine abbiano compiuto, essendo difesa solo la liceità della non uccisione dell’innocente e ipotizzando anche mezzi non sufficienti di repressione del crimine che possono giustificare una esecuzione capitale. Se così non fosse, se questa nota interpretativa fosse esagerata, rimane allora la poca chiarezza e nettezza di posizione contro l’omicidio, seppur di Stato, che invece ha numerosi modi per essere espressa. Si tratta, se vero, di avere il coraggio di usare le parole per dirlo. Forse una moratoria contro la pena di morte dovrebbe coinvolgere anche lo Stato del Vaticano. E forse la saggezza biblica è espressa proprio dalla semplicità con cui le cose vengono espresse, in un modo semplice e con solo due parole: non uccidere, e basta.