Globalizzazione, nuovi scenari   

Nel caos generale dei numeri che misurano l’economia mondiale si può temere qualunque scenario, se non si tenesse conto dell’avvenuta globalizzazione, cioè dell’accordo esistente tra le maggiori potenze economiche e militari del mondo, ed in particolare dell’accordo tra i maggiori rappresentanti, anche “unofficial”, delle ricchezze concentrate in poche mani. Attivissimi dal punto di vista strategico e che possono apparire colpevoli di improvvisazione solo a disattenti osservatori. Prendiamo ad esempio alcuni segnali recenti: il Giappone si trova ad annunciare una impennata dell’onda di discesa dei prezzi che misura una deflazione di 0,2 per cento dei prezzi al consumo nel mese di Aprile, con una previsione per maggio dello 0,4 per cento; nello stesso tempo calano furiosamente le borse asiatiche, con punte sui titoli di maggiore rilevanza che vanno dal 3 al 6 per cento; gli Stati Uniti vedono la maggior parte del proprio debito pubblico, vicino ormai alla astronomica cifra di 500 miliardi di dollari, impegnati per quasi un terzo di quest’importo verso la Cina; in Italia si spalanca un fronte antieuro, comodo solo per gli americani, con minacciose ipotesi di ritorno alla lira, ovvero dell’uscita unilaterale dai patti europei. Masse di flussi finanziari controllati da poche banche viaggiano da una parte all’altra del globo all’interno di forti speculazioni. La Cina invade i mercati con prezzi da dumping, con la connivenza dei proprietari dei marchi occidentali, però preparandosi, con i consumi interni, ad una rapida evoluzione inflattiva. Tutto ciò potrebbe generare una improvvisa spirale deflattiva per l’Italia e tutto il continente europeo, che potrebbe portare ad un aumento conseguente del potere d’acquisto dei salari, di cui si potrebbe addirittura arrivare a discutere della riduzione nel prossimo quinquennio. Creando uno scenario di soddisfazione del desiderio di consumo, permettendo anche ai ceti meno abbienti di accedere ad una serie di beni ritenuti al confine tra il voluttuario e l’indispensabile, come automobili di fascia bassa, industria del bianco, elettronica di consumo e abbigliamento. Resi accessibili sia dal prezzo basso derivato dai costi contenuti della mano d’opera orientale, che da piani di finanziamento rateale venduti a tassi che si trasformano in grande redditività in caso di riduzione dei tassi delle banche centrali. Il tutto accompagnato da un aumento dei consumi in termini quantitativi, che comunque comporterebbero l’aumento di reddito delle fasce coinvolte dalla intermediazione e distribuzione, a cui invece competerebbe l’acquisto di quei beni a maggiore valore aggiunto che seguirebbero una fase fortemente inflativa. Fase che riguarderebbe anche tutte le utility, con in testa energia e telecomunicazioni, e al comparto alimentare. Creando così un non ancora ben valutato scenario di biflazione, cioè una divergenza nei prezzi tendenziali in funzione del target di riferimento. Lasciando arricchire, in maniera forse oltremodo liberale, i detentori del bene più etereo usato per gli scambi: il denaro. Quello vero, però, il cui valore possa essere misurato in base a parametri certi e non sulla scorta degli accordi di governi in grado di gestirne il valore di scambio, lasciando che la politica, e talvolta il malaffare, prevalgano sulla finanza.