Il sistema di Federexport   

Tra le diverse cose dette la settimana scorsa dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in visita a Pordenone, è di rilievo l’evidenza di come l’export italiano sia cresciuto poco rispetto ad una dinamica esponenziale del sistema globale di scambi. E nell’indiviuazione di una scarsa attitudine delle Pmi a fare sistema tra le cause prime di questo palese insuccesso. Uno dei modi di fare sistema, sperimentato da oltre trent’anni è la rete di consorzi export Federexport, afferente a Confindustria. Il consorzio export è uno strumento creato dagli imprenditori che permette alle piccole e medie imprese di disporre di una serie di servizi finalizzati al raggiungimento dei propri obiettivi nell’export. Questa formula associativa, che opera da oltre 30 anni, ha consentito alle piccole imprese di operare insieme, senza perdere il proprio individualismo.Oggi operano in Italia oltre 300 consorzi export, comprendenti 7 mila aziende, di questi 110 sono associati alla Federexport per un totale di circa 4.300 imprese esportatrici. Fanno parte della federazione due associazioni turistico alberghiere che raggruppano 1.700 tra catene alberghiere e strutture indipendenti che fatturano circa 3 miliardi di euro. Federexport pubblica sul sito www.federexportonline.it il repertorio dell aziende associate, con un portale in cinque lingue. Analizzando i dati del repertorio viene fuori però una realtà sconfortante per la Campania, che presenta, ad esclusione del turismo, solo le schede di 51 imprese, contro le 417 del Veneto, le 215 dell’Emilia Romagna, le 190 della Toscana, le 125 del Trentino Alto Adige e le 102 delle Marche. Pur comprendendo che il sito non individui tutti i consorzi per l’esportazione del made in Italy campano, i numeri impongono una riflessione. La prima tra le piccole imprese campane, che devono imparare a darsi forme consortili e di aggregazione per affrontare, con la condivisione dei costi e delle competenze, la sfida dei mercati esteri, insieme ad una maggiore partecipazione e iniziativa in ambito associativo, con le manifatturiere che dovrebbero valutare a fondo la loro presenza, o assenza, nelle Unioni Industrali provinciali. La seconda riflessione è invece all’attenzione della politica, in particolare a quella regionale che vede vicina una scadenza di rinnovo del suo governo. E’ indispensabile puntare sulle facilitazioni e incentivazioni alla forma consortile e di raggruppamento, prima ancora che alla fusione aziendale, per sollecitare le effervescenti piccole realtà produttive del nostro territorio a trovare una ragione comune d’azione, salvaguardando le proprie individualità e ponendo a fattor comune le best practice sperimentate. In progetti che non impongano, nei costituendi consorzi, una ingerenza più ampia di tanto della politica, ma che tendano a collegare quelle filiere e quei distretti che non sono, palesemente, solo geografici nella nostra area. Meglio sarebbe se ciò avvenisse in quel concerto di azioni e programmi che si sta cercando di costruire tra le regioni meridionali, sfruttando esperienze già avanzate anche del Nord, favorendo, quando possibile, uno scambio di informazioni e di sinergia che faciliti anche una impostazione consortile di ampio respiro geografico.