Telecom, la gaffe del Governo e le liberalizzazioni incompiute   

La sbadataggine incrociata che traspare in questi giorni sulla vicenda Telecom fa un po’ sorridere. Dall’inizio di giugno, su rumors che vedevano il Governo e il Ministero delle Telecomunicazioni interessarsi concretamente del digital divide italiano, diverse associazioni che tutelano gli interessi dei piccoli e medi operatori telefonici e internet provider italiani, come Ado, Assoprovider, Aiip e altre, chiedevano con insistenza che si mettesse mano all’unico serio argomento che potrebbe garantire la reale fine del monopolio dell’ex azienda statale: lo scorporo della rete. Esattamente come il titolo della relazione di Angelo Rovati che ha suscitato tanto scalpore.
Per una azienda a capitale privato, chiunque sia dietro questo capitale, è normale che si cerchi di trovare una soluzione a una istanza palese, se si crede che il trust sia un danno per il Paese, che comporti il minor danno economico e finanziario possibile. Meglio se contiene anche una evidente revenue pure per la gestione economica del paese, come in questo caso in cui il piano presta attenzione anche a qualche pugno di miliardi di euro in imposte garantite allo Stato.
Lo scorporo è richiesto anche da numerose associazioni di utenti di Internet e delle Tlc, che in una lettera di giugno facevano pressione, ricordando anche che lo scorporo “chiesto in passato da Mario Monti ex presidente dell’Antitrust europea, da Giuseppe Tesauro ex presidente dell’antitrust italiana, da illustri economisti, dalla corte dei conti e addirittura nel 2001 da Gasparri, ma "stranamente" mai posto in essere”.
Sembra che l’evidente necessità del Governo di centrosinistra di dare ascolto e mantenere impegni con l’elettorato tecnologico si sia scontrata con il macigno dello scandalo montato in queste settimane, in cui si parla solo della separazione tra mobile e fisso e poco di rete, infrastrutture e cessazione del monopolio. Ignorando come l’intervento dello Stato sulle infrastrutture è indispensabile per evitare i disagi già visti nella storia Abertis-Autostrade.
Nella nostra epoca autostrade e cablaggi sono beni divenuti nella disponibilità naturale del Paese, ed è ora che siano resi disponibili alla concorrenza libera, unica capace di smascherare introiti indebiti se raggiungono marginalità superiori a venti volte i costi, marginalità che stimolano i cartelli tariffari a cui siamo avvezzi. E forse di queste vere liberalizzazioni ha bisogno il Paese per sviluppare la concorrenza a livello globale.