Venti di guerra e disattenzione civile: l’Italia rimane portaerei americana   

Sarà pur vero che è necessario mantenere gli impegni assunti dai governi precedenti con gli alleati, come dimostra inequivocabilmente l’ampliamento della base americana di Vicenza, di cui tra poco non sentiremo più parlare. Anche perché per qualche settimana presto ci occuperemo dell’altro ampliamento annunciato, quello di oltre seicentomila metri cubi previsto per l’area di Sigonella, che, essendo in zona meno popolosa, centrale e ricca di Vicenza, essendo cioè meridionale, susciterà minore attenzione civile.
Ma se è vero che senza nulla dire dobbiamo ospitare ordigni anche nucleari e funzionare da scalo tecnico per missioni fallimentari, come fu quella somala, almeno possiamo auspicare che la diplomazia e il buon senso politico riescano a scardinare i pericoli che, nella ignavia diffusa, comunque ci circondano.
Il 2 febbraio avremo alcune prime prove tecniche di trasmissione, con la relazione dell’Onu che stabilisce di che forma debba essere l’autonomia del Kosovo, osteggiata non solo dalla Serbia ma anche dagli stessi Stati Uniti e dalla Spagna, che non vorrebbe mai vedere affermato seriamente il principio di autodeterminazione dei popoli, che se valido per il Kosovo qualcuno si potrebbe domandare perché non valido anche per i Paesi Baschi o la Catalogna. Staremo a vedere. Intanto sarebbe bene indagare sugli intrecci societari tra le aziende edili e di progettazione che si occuperanno dei lavori a Vicenza e Sigonella, che pare siano tutte connesse tra loro ed afferenti ad alcuni nomi già noti alla magistratura, nella cerchia dei potentati catanesi.
Perché, da sempre, guerra e affari restano connessi, ed in Italia patiamo connessioni e connivenze anche peggiori, cominciando dall’improvvida alleanza mafiosa che favorì lo sbarco in Sicilia e che costò molte firme spiacevoli di accordi statali nella metà degli anni ’50, che pare l’ex ministro Martino abbia ampliato, più che rinnovato. Sarebbe bello immaginare di poter chiedere agli Usa, che continuano a spendere con la Research Triangle International milioni di dollari per impiantare la democrazia in Iraq, se forse non sarebbe meglio pretendere che il governo iracheno ratifichi gli accordi sul tribunale internazionale contro i crimini di guerra, fosse solo per andare ad arrestare un paio di generali lasciati inopinatamente fuggire in Iran. O che la comunità europea accogliesse l’invito del manifesto firmato da centinaia di politici e intellettuali che propongono l’ingresso di Israele in Europa.
Macché, vane speranze. Si cerca invece di compiere la follia di chiedere che Israele entri nella Nato, volgendo al militare quello che invece è un sogno di pace e di convivenza tra democrazie. Perché, non c’è niente da fare, la vera guerra continua ad essere quella tra dollaro ed euro, in attesa che l’Asia decida il da farsi.