Il gioco delle parti   

C’era da rimanere scandalizzati nel sentire, nei giorni passati, le dichiarazioni di un sindacalista Ugl che, esprimendo soddisfazione per la firma del contratto dei lavoratori di Trenitalia, affermava preoccupazioni per il bilancio aziendale che, diceva, poteva beneficiare da un auspicato aumento delle tariffe per i viaggiatori. Al sindacalista rispondeva, in un servizio radio di Gr24, un esponente dell’azienda che tranquillizzava i consumatori dichiarando che non erano previsti aumenti del costo del biglietto nel breve termine. L’uomo con il cilindro ed il panciotto a righe, monocolo, guanti e bastone, il padrone, ci sembrava quindi il sindacalista, più che il dirigente intervistato. Qualcosa non quadra. Come non quadra più l’atteggiamento del sindacato utilizzato come arma a fini politici nel confronto tra maggioranza e opposizione. A cui fa da dignitoso contraltare l’atteggiamento di Confindustria che, invece, ha chiesto, con la forza della ragione, a tutti i componenti di cariche elettive interne di rendersi parte diligente nel valutare l’incompatibilità delle stesse con elezioni o incarichi nei governi pubblici locali e nazionali. La mancanza di rigore nei sindacati è vox populi, a cominciare dal comportamento di quei tanti delegati che utilizzano le loro prerogative per agire indisturbati in attività completamente esterne all’ente o azienda di cui sono dipendenti, ma anche esterne alla organizzazione sindacale di cui fanno parte. Facendo anche modo che tale distrazione d’interesse sia poi coperta dalla controparte sociale in cambio di ignobili accondiscendenze e patti tesi al raggiungimento degli obbiettivi opposti a quelli per cui si è nominati. Purtroppo questo fenomeno, ovviamente da non generalizzare, è anche corroborato dall’atteggiamento di quei componenti la base che ritengono di poter scegliere e votare il proprio delegato in funzione dei vantaggi personali successivamente ottenibili. In quello che in politica si chiama voto di scambio. Mai sia, ovviamente, che un potere terzo, come quello della magistratura, si interessi a queste cose. E mai sia, naturalmente, che qualcuno osi toccare questo equilibrio così ben strutturato, garante della pace sociale nel piccolo comune, nell’ente pubblico di formazione, nell’università come nelle aziende. Peccato che si disperda così tanto valore. Quello sociale, insito nelle garanzie conquistate in decenni di lotte per la migliore qualità del lavoro; quello economico, insito nella migliore qualità di servizio offerta dai gruppi in cui siano stanabili gli imboscati e non tutelati dalla ragnatela clientelare; quello politico, che ha permesso di formare tanti dirigenti proprio all’interno del confronto sindacato-impresa. Il danno primario di questo lassismo, e della confusione del proprio ruolo, come quello che vede Bertinotti ogni tanto occuparsi del futuro della Fiat, come cosa propria e con atteggiamento scimmiottescamente imprenditoriale, faccia male proprio al sindacato. Entità che il liberismo ha insegnato essere indispensabile anche e proprio allo sviluppo di una impresa migliore, a vantaggio non solo dei lavoratori, ma anche della proprietà e dei fruitori dei beni e servizi prodotti. Ma si sa: della crisi dei valori nessuno è salvo.