Paura dell’influenza aviaria: controlliamo le statistiche ufficiali   

All’approssimarsi della primavera riprende, come ogni anno negli ultimi quattro, la campagna di allarme sull’influenza aviaria, nome mediatico affidato al virus H5N1 che mise inutilmente in ginocchio l’industria del pollame, ma ancor più della rete di piccoli e medi commercianti sottostante, l’anno scorso. Producendo anche ingenti guadagni da parte di più o meno sagaci aziende farmaceutiche che misero in giro voci in merito alla efficacia, poi dimostratasi inesistente, di medicamenti ad ampio raggio antinfluenzali, spesso scambiati per antivirali specifici o vaccini, attualmente mai prodotti. E’ bene allora dare uno sguardo ai numeri prodotti dall’organizzazione mondiale della sanità, la Who, che farebbero sorridere, se non per il fatto che si occupano di decessi. In sostanza negli ultimi quattro anni sono decedute di H5N1 nel mondo solo 168 persone su 278 casi di infezione denunciati. Di normale influenza, quella che tutti possiamo prendere ogni anno, ne sono morti negli ultimi anni qualche centinaio di migliaia, di cui migliaia in Italia, specie tra gli anziani verso cui è infatti rivolta, insieme ai bambini, la campagna di sollecitazione al vaccino. La maggior parte di influenze sono “aviarie” se le si intende come portate dagli uccelli che nel loro flusso migratorio infettano gli altri animali in un ciclo ritmico, che vede il trasferimento spesso prima ai suini e poi all’uomo. Ma se il numero apparisse preoccupante, il tragico 2006, quello in cui più ci hanno angustiato, ha prodotto 80 decessi mondiali su 116 casi riscontrati, rappresentando sicuramente il 50 per cento delle morti complessive, grazie ad una recrudescenza in Indonesia, dove si sono verificate ben 46 morti. Numeri inesistenti per creare allarme, come già fu nel 2005, specie se si considera l’elenco dei Paesi coinvolti: il Vietnam, con 42 decessi fino al 2005 e poi nessun caso successivo, neanche di infezione; la Thailandia, con 12 morti nel 2004, 2 nel 2005 e 3 nel 2006; l’Egitto, con 10 decessi nel 2006, o la Cina, con 8 morti nel 2006, per poi contare i casi e i decessi sulle dita di una mano in Azerbaijan (5), in Cambogia (6), in Iraq (2), in Lao (1), in Nigeria (1) e in Turchia (4). Di uccelli ne sono morti certamente tanti di più, e di denari spesi in occidente come in oriente ve ne sono stati moltissimi. Quanto ben spesi difficile a dirsi, facendo paura a tutti l’ammalarsi, specie quando la minaccia veniva presentata con il tragico nome di pandemia. Rimane ovvio a tutti che le normali norme di igiene aiutano ad evitare sia il virus H5N1 che le altre infezioni, di cui sono certamente più colpiti i Paesi meno sviluppati presenti nell’elenco. Ma a noi fa ancora specie ricordare quando girò l’inaudita voce che il Governo britannico cercava di individuare i luoghi in cui seppellire, tre anni or sono, ben settecentomila persone per l’incipiente aviaria, svanita in un battito d’ali.