In trent'anni che cosa è cambiato?   

Caro direttore,riordinando vecchi libri, ho ritrovato “I corsivi di Fortebraccio” della Editori Riuniti (1970) in cui Paolo Spriano introduce gli scritti famosi di Mario Melloni su l’Unità durante il 1969.Nello scritto del Martedì 14 ottobre di quell’anno, Melloni si rivolge indirettamente all’allora Presidente di Confindustria, Costa, ironizzando sulla generosità paventata dagli industriali che sembravano ricordargli la generosità con cui si inizia a mangiare in pubblico dopo un’ipocrita invito a consumare il proprio pasto, come il napoletano, popolare e fortunatamente sempre più desueto: “Favurite!”. Si pensi che tale generosità era collegata alla dichiarazione dell’allora presidente della Fiat che affermava come il danno derivante dagli aumenti salariali, con la conseguente perdita di competitività dell’industria italiana, sarebbe stato poi attutito dal pari innalzamento del costo del lavoro negli altri paesi industrializzati. Mi viene in mente subito Ernesto Rossi e come il passaggio liberale e liberista abbia sensibilmente modificato le cose, gli atteggiamenti, le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro. Rileggendolo mi è sorto un dubbio: i lavoratori di oggi comprendono come, alla fine, le battaglie sindacali, il progresso, lo sviluppo democratico abbiano reso maggiormente chiari e espliciti i nessi, le similitudini che vi sono tra il fare impresa e il lavorare in impresa? I modelli moderni, che prevedono un diretto coinvolgimento dei lavoratori in alcune strategie chiave dell’azienda, non sono forse essi stessi il superamento del bruto capitalismo contrapposto al rude comunismo? La domanda è ancora questa: dal ’69 ad oggi, in oltre trent’anni, sono realmente mutate le relazioni tra sindacato e associazione datoriale, tra imprenditore e lavoratore?Sono, cioè, effettivi ed efficaci gli strumenti nuovi che ci siamo dati, come la presenza di rappresentanze sindacali sul posto di lavoro, il reintegro di cui all’art.18, e tutto l’insieme dello Statuto? O è vero, coram populi, che i sindacalisti attuali sono una parte corrotti e una parte portatori di inedia? O è vero, coram populi altrettanto, che la maggior parte degli imprenditori sguazza tra lavoro nero ed evasione fiscale? O, ancora è vero che si fa impresa, mai come ora, in un periodo di palese crisi, coinvolgendosi e confondendosi le stesse categorie di lavoratore e imprenditore? Mai come oggi, in un momento in cui i capitali azionari si spostano, quasi senza notizia, senza pubblicità, da una mano all’altra, solo per speculazioni, non sempre rivolte al bene dell’azienda, ma più rivolte al proprio tentativo speculativo stesso, al puro lucro finanziario, mai come adesso, dicevo, si dovrebbe sentire il vero punto d’arrivo, e quindi di partenza, del cambiamento. Mai come in questo momento valgono le secche e pure regole del diritto societario, in cui l’assemblea dei soci impone strategie e indica obiettivi, e la dirigenza viene scelta come effettiva realizzatrice di queste istanze. E spesso, sempre più spesso, la confusione tra azionista e manager diviene palese.Palese ed evidente, ma portatrice inevitabile di caos, di disordine. E quindi l’Agnelli del 1969 si è dovuto poi aggrappare disperatamente allo Stato, alla politica della Cassa Integrazione, proiettando il dissesto dell’Inps a livelli tali da costringerlo, e poi costringere tutti, alla necessità ovvia di affidare alle Compagnie di Assicurazione, ai Fondi, la gestione privata inevitabile dell’Inps, passando attraverso ricatti e tensioni tali da consentire anche e proprio ai sindacati di succhiare dalla stessa mammella. Indipendentemente dal fatto che avesse ragione o no “Fortebraccio”, che la sua ironia fosse letale o costruttiva, c’è da dire che l’essere giunti al punto referendario in cui siamo, distraendo energie e risorse dalle problematiche dello sviluppo e della creazione del benessere, rappresenta una iattura che sarebbe stato opportuno evitare.Il Referendum sull’ art.18 non si sarebbe mai dovuto fare, ma lo ha certamente voluto chi ancora gioca sulla “necessità” delle parti contrapposte, contro i modelli che hanno portato alla cancellazione della scala mobile prima e all’avvio della concertazione poi. Tutti noi siamo legati al nuovo, al “change management”: non solo la classe dirigente ma ciascun lavoratore, ciascun cittadino. E la folla di Pmi che si contrappone alla Grande Industria, il flessibile modello italiano e i nuovi modi di fare impresa, proveranno quanto siano ormai più vicini “padroni” e “operai”, essendo entrambi parte di un sistema globale in cui proprietà e gestione si allontanano sempre più, divenendo ciascuna Pmi interdipendente con il sistema delle Grandi.E’ per questo che non ci resta che auspicare che non cambi il Presidente attuale di Confindustria, che il quorum sull’art.18 non sia raggiunto, riportando la tematica nelle sedi più opportune, e che si badi come si sia tutti attenti al valore delle retribuzioni e al loro drammatico scostamento dal reale aumento del costo della vita, al contemporaneo innalzamento del valore dell’Euro e alla perdita di competitività che già subiamo, non dall’oriente estremo, ma da quello prossimo, quello dei prossimi ingressi in Europa, che sottrarrà fondi a zone, come il Sud Italia, che necessitano di piani strutturali di sviluppo e non più fondi ancora a pioggia.